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giovedì 5 luglio 2007

Un giorno qualunque a Gaza


Anche questo,articolo di Blondet, foto dall'archivio

PALESTINA - Al valico di Rafah, il punto di passaggio tra Gaza e l’Egitto, da tre settimane centinaia di palestinesi aspettano di tornare a casa.
Gli israeliani negano loro il passaggio (si stanno solo difendendo).
A ridosso del posto di blocco, in centinaia aspettano, dormono all’aperto e passano il giorno, giorno dopo giorno, nell’area di confine senza servizi.
I più hanno finito il cibo e i soldi che s’erano portati con sé.
Non hanno acqua per lavarsi e per bere.
Il 4 luglio, lì al blocco di Rafah, è morta una donna palestinese di 31 anni, madre di cinque figli, di nome Taghreid Adeaed.
Era stata in Egitto per cure mediche (a Gaza ormai impossibili), è arrivata al posto di blocco grave e non ha retto all’attesa.
Gli eroici soldati di Tsahal ora negano il passaggio anche del cadavere per la sepoltura a Gaza.
Devono pur difendersi.
Le donne specialmente si vergognano.
«Non mi lavo da settimane, puzzo», dice una signora di 49 anni, Umm Rami, bloccata sul lato egiziano del confine.
Ha una gamba fasciata, era stata in Egitto per sottoporsi a un intervento chirurgico al ginocchio.
E’ lì con una figlia giovane.
«Non sappiamo dove andare, non abbiamo più denaro, né cibo né acqua né medicine. Siamo stanche e affamate».
Né possono ricevere denaro dai parenti a Gaza.
L’Occidente è mobilitato infatti minuziosamente per difendere Israele: anche la DHL e Western Union, le multinazionali dei trasferimenti di moneta, hanno interrotto il servizio a Gaza per ordine di Sion.
Non che a Gaza se la passino meglio.

Sono in corso incursioni del piccolo popolo minacciato nella sua stessa esistenza, carri armati sono penetrati simultaneamente da sud, nel villaggio di Khan Youni, e da nord.
Il risultato: 13 morti contati dal dottor Mawia Hassanen dell’ospedale di Al Shifa, molti civili fra cui un bambino di 9 anni.
Molti corpi sono impossibili da identificare, fatti a pezzi e ustionati dai grossi calibri dei cingolati eroici.
Venti palestinesi sono feriti, sette in condizioni critiche, e scarseggiano medicinali.
Ovviamente, Israele ha di mira i terroristi.
L’attacco ha liquidato a Khan Younis tre terroristi, dicono, del Jihad Islamico: tre razzi dai caccia
F-16 hanno centrato la Subaru bianca dove viaggiavano, e ovviamente hanno fatto strage anche fra i passanti.
Bisogna pur difendersi.
Altri raid stanno uccidendo qua e là, a volte i «terroristi» colpiti sono non identificabili come tali. Sabato, sono stati sette i morti, sicuramente terroristi, e il numero dei feriti è non accertato.
Nell’estate torrida, l’acqua manca in modo estremo.
Nel campo dei rifugiati di Bader, sul versante palestinese del posto di blocco di Rafah, arriva da quattro giorni un’autocisterna con acqua razionata.
Non si sa se domani il camion tornerà.
L’embargo economico è diventato ancora più severo, in pratica - comunica il Centro Legale per la Libertà di Movimento «Gisha» - la striscia di Gaza, abitata da 1,4 milioni di perone, è totalmente chiusa al mondo esterno da giugno.
Ogni attività economica è spenta e impossibile.
Il piccolo debole popolo che si sta difendendo ha chiuso del tutto il valico di Karni, attraverso cui arrivavano da Israele tutte le «importazioni» e partivano tutte le «esportazioni» palestinesi.
Merci, alimenti e materiali per le poche attività industriali e artigianali mancano.
Il 75% delle fabbrichette e officine artigiane di Gaza sono chiuse.
Le rimanenti lavorano finchè i materiali che hanno in magazzino finiranno.
Il prezzo della farina è aumentato del 34%, quello del latte in polvere del 30% e quello del riso, del 20%.
Farina e zucchero sono quasi introvabili, del resto.
L’85% della popolazione campa di aiuti alimentari delle organizzazioni internazionali; la percentuale si accresce, ovviamente, di giorno in giorno.
Israele si sta solo difendendo.

A Gaza governa Hamas, e la popolazione deve essere ridotta in ginocchio perché deve cacciare Hamas.
Lo Stato ebraico ha cancellato dai computer il codice doganale che identificava le merci in entrata a Gaza, e ha dato disposizione di non rimetterlo in attività fino a nuovo ordine.
In sole due settimane di blocco estremo, i palestinesi di Gaza hanno accumulato perdite per 1,5 milioni di dollari.
Fra queste perdite vanno calcolati non solo le merci avariate (quasi tutta l’attività esportatrice era di generi agricoli) dalla permanenza nei magazzini, ma anche le multe: multe per l’impossibilità di restituire i container affittati, multe per inadempienza contrattuale (i terroristi non hanno consegnato la merce pattuita).
Il solo lager al mondo soggetto alle leggi del mercato.
L’importazione di articoli umanitari è consentita attraverso i valichi di Kherem Shalom, Sufa e Erez, ma - secondo Gisha, la capacità di questi valichi è fortemente limitata.
Altre soste di giorni, per medicinali e cibi che cuociono nei camion sotto il sole.
Gisha ha una strana idea del diritto: sostiene che, nonostante il «ritiro da Gaza», Israele è tuttora l’occupante del territorio, in quanto ne blocca tutti gli accessi terrestri e vieta l’entrata anche dal mare e dal cielo.
Dunque, secondo il diritto internazionale, Israele continua ad essere responsabile della popolazione che ha chiuso lì.
Obbligata per legge a proteggere i civili.
«Invece ha adottato una politica di punizione collettiva, in violazione delle norme internazionali che esplicitamente vietano di punire le persone per fatti che non hanno commesso».
La fonte di queste informazioni non è un blog dei «terroristi islamici» o della propaganda terroristica di Hamas.
E’ un giornale non famoso per la sua cordialità verso i palestinesi.
Il Jerusalem Post. (1)
Il Jerusalem Post è scritto in inglese.
Ma l’Europa ha preoccupazioni più urgenti che la sorte di un milione e mezzo di prigionieri palestinesi.

Ha infatti avuto successo - più di critica che di pubblico - la manifestazione «Salviamo i cristiani!», voluta da Magdi Allam e radunatasi a piazza Santi Apostoli.
Il pubblico era per lo più composto, dice l’Ansa, da gente «orgogliosa nel rivendicare l’identità cristiana come valore da proteggere e tutelare».
«Su questo, continua l’agenzia, ha fatto leva lo stesso Magdi Allam nel suo intervento dal palco, parlando ai presenti ‘uniti dall’imperativo di difendere la libertà religiosa di tutti, in tutti i Paesi del mondo’ e in particolare invitando a ‘elevare la nostra voce per denunciare la discriminazione, la persecuzione e l’esodo forzato dei cristiani nei Paesi del Medio Oriente’ ».
Il vice direttore del Corriere della Sera ha denunciato, in toni estremamente risentiti, «i sostenitori di un Dio trasformato in un simbolo di morte» e si è richiamato, tra gli applausi della folla ai «principi sostenuti da Benedetto XVI nel dialogo con le altre fedi».
Allam ha parlato anche contro «questa Europa ammalata di relativismo e accecata dall’ideologia del multiculturalismo, che tradisce i propri valori e rinnega la propria identità», un’Europa «lassista sul principio della libertà religiosa sia fuori che dentro i propri confini».
Parole sante, sullo sfondo di ciò che stanno subendo i palestinesi a Gaza.
Sì, ci sono «i sostenitori di un Dio trasformato in un simbolo di morte».
Sì, l’Europa «tradisce i propri valori e rinnega la propria identità».
Tutto vero.
Tutto giusto.
Quest’Europa era lì in piazza.
Fra questi cristiani finalmente orgogliosi di esserlo c’era Abraham Foxman, il capo della Anti Defamation League americana: «La nostra voce sarà sempre forte dove ci sono cristiani oppressi e intimiditi», ha proclamato.
C’era il rabbino Di Segni, forte tempra di devoto di Benedetto XVI.
E c’era Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica romana, che ha detto: partecipare alla manifestazione significa «riaffermare valori che fanno parte della nostra Costituzione».
Quindi, chi non ha partecipato è un terrorista.
Pacifici riafferma ogni giorno i principi della Costituzione mantenendo ai suoi ordini le squadre di pestaggio ebraiche.
Ebraiche ma orgogliosamente cristiane, legali, costituzionali, divorate dalla passione per la libertà religiosa.

C’erano, ovviamente, molti politici.
Li segnala l’Ansa: «In prima fila, per il centrodestra, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Rocco Buttiglione, Daniela Santanché, Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto, il governatore della Lombardia Roberto Formigoni con il gonfalone della Regione, Luca Volonté, Roberto Castelli, Marcello Pera, Paolo Bonaiuti, Antonio Tajani, Valentina Aprea, Enrico La Loggia, Elisabetta Gardini, Sandro Giovanardi, Maurizio Lupi tra gli altri; per il centrosinistra i presidenti di commissione Umberto Ranieri ed Ermete Realacci, Pierluigi Castagnetti, Khaled Fouad Allam, Enzo Carra, Mauro Fabris, Roberto Villetti, Luigi Bobba. C’é anche Savino Pezzotta».
Segnatevi i nomi di questi orgogliosi della loro ritrovata identità cristiana.
Sono i complici del genocidio di cui la nostra generazione è testimone, e che avviene sotto i nostri occhi.
Se migliaia di palestinesi non possono rientrare dall’Egitto e bivaccano da tre settimane al valico di Rafah senz’acqua, soldi né cibo, è anche grazie a loro.
Se il cadavere di una trentunenne madre di cinque figli non può essere sepolto a casa, è per loro merito.
Ricordateli, questi cristiani, almeno al momento di votare.

Se poi si voterà: ormai è Pacifici a vegliare sui «valori della nostra costituzione».
Pacifici e le sue squadre d’azione.
La piena democrazia ebraica, finalmente.

Maurizio Blondet




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Note
1) Dan Izenberg, «Israel ruining economy on Gaza strip», Jerusalem Post, 4 luglio 2007.




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