sabato 22 marzo 2008
"Obama giuri fedeltà ad israele"
Persino il Washington Post presenta l’incredibile evento come «fin dove arriva la Chutzpah». Si tratta di un incontro in cui l’United Jewish Committee (1) ha convocato i rappresentanti dei tre candidati presidenziali - McCain, la Clinton e Barak Obama - per mettere alla prova la «fedeltà ad Israele» di ciascuno. Il termine usato, «fealty», indica l’atto di fedeltà del vassallo al signore.
Un vero processo, con i candidati in veste di imputati (in contumacia), ma rappresentati da tre avvocati difensori: l’ex segretario di Stato Lawrence Eagleburger per McCain, la ex dirigente della Casa Bianca Ann Lewis per Hillary Clinton. Quanto ad Obama, ha mandato come suo difensore un pezzo grosso della comunità, uno col curriculum più kosher che ci sia: Dan Kurtzer, ex ambasciatore in Israele, oggi docente a Princeton.
Kurtzer, secondo il resoconto del Washington Post, è andato subito al cuore dell’argomento in nome del suo cliente-imputato: «Nella comunità circolano voci che dicono che c’è qualcosa di sbagliato nell’atteggiamento di Obama verso gli ebrei e verso Israele. Voci che circolano in e-mails, allusioni che appaiono sui giornali… lo stesso tipo di cose che la nostra comunità ha subito da parte degli antisemiti».
Gli ebrei che voteranno democratico sono contro Obama, e non da oggi. Perché è negro. Perché ha espresso simpatie per i palestinesi e antipatia per il Likud. Perché s’è scelto come consigliere in politica estera Zbigniew Brzezinski (Council on Foreign Relations), che definisce la politica americana in Medio Oriente «moralmente ipocrita», ossia sempre dalla parte di Israele anche quando Giuda ha torto.
Ma il peggio è arrivato con la rivelazione che il capo carismatico della «chiesa» fanta-cristiana e negra che Barak Obama frequenta, il «reverendo» Jeremiah Wright, ha accusato Israele di «terrorismo di Stato contro i palestinesi», e per di più, alludono, è amico di Farrakhan, il capo dei black muslims, «antisemita» dichiarato. Invano Obama ha preso le distanze dal «reverendo»; egli è sospetto e dunque non avrà soldi ebraici, né sostegno propagandistico.
Gli ebrei gli preferiscono Hillary, a cui fanno avere appoggi e denaro. «Su Israele non ci sono differenze fra i tre candidati», ha cercato di dire Kurtzer, il difensore del negretto: risate, urla di «comunista»! dalla platea ebraica. Kurtzer ci ha riprovato.
A proposito degli spropositi del reverendo Wright di cui Obama è una pecorella, ha detto: «Anche molti di noi e di voi, che apparteniamo alla comunità e alla sinagoga, non vorremmo essere giudicati dalle parole di certi rabbini che a volte dicono cose ridicole» (come che gli altri uomini sono animali parlanti?). E’ stato subissato di proteste.
Anne Lewis, l’ebrea che rappresentava Hillary, è sbottata: «Ma se Obama ha dichiarato che nel suo primo anno di presidenza s’impegna a incontrare Ahmadinejad!». Lawrence Eagleburger, il difensore di McCain, ha rincarato: «McCain non parlerà coi siriani, non parlerà con gli iraniani, non parlerà con Hamas né Hezbollah… E non farà pressioni su Israele». Il giuramento di fedeltà-vassallaggio non poteva essere più esplicito.
Uno degli esponenti della comunità, tale Daroff: «Ho sentito dire nei corridoi che Obama non vede la questione di Israele come la vede la comunità ebraica o come il Senato». Altri hanno ricordato che Obama, di recente, ha detto: essere per Israele non significa essere per il Likud. Kurtzer ha cercato di difenderlo: «Ciò significa solo che vuol sentire una pluralità di voci» da Sion. Gelo in sala.
Poi Anne Lewis, la giudea che controlla Hillary, ha scandito: «Il compito del presidente degli Stati Uniti è di sostenere le decisioni che sono prese dal popolo d’Israele. Non spetta a lui distinguere o scegliere fra i partiti politici israeliani». Ecco il programma di vassallaggio dichiarato. Non spetta al presidente USA impicciarsi nella politica interna israeliana, ma gli ebrei possono impicciarsi della politica interna americana, distinguere e scegliere fra i candidati quelli che più sono sottomessi a Sion. Vivissimi applausi dalla platea kosher.
La decisione è presa: Obama non è abbastanza sottomesso agli ebrei, come hanno dimostrato con zelo non solo i giudei presenti, ma anche i rappresentanti della Clinton e di McCain. Qualcosa ci dice che Obama non vincerà le elezioni.
Ultimo particolare fornito dal Washington Post: «Addetti alla sicurezza con accento israeliano mandavano via la gente in quanto la stanza era sovraffollata». La stanza del Washington Hilton dove si è svolto il processo al negro che osa candidarsi e qualche volta criticare il Likud. Processo sommario, con guardie del Mossad alla porta. Forse non ci crederete. Chi sa l’inglese, legga per credere: Dana Milbank, «The audacity of Chutzpah», Washington Post, 18 marzo 2008, pagina 2.
Il giornalista Milbank, ovviamente ebreo, è noto per aver sobriamente definito «nazisti» i professori Walt e Mearsheimer, colpevoli di avere stilato il noto saggio «The Israeli Lobby». Milbank approva, naturalmente, la sottomissione (fealty) di McCain e della Clinton, e sbatte in prima pagina Obama come insubordinato.
E a proposito: il Dipartimento di Stato americano ha diffuso il suo annuale rapporto dal titolo «Contemporary Global Anti-Semitism», in cui espone la seguente tesi: ogni critica ad Israele è un atto di antisemitismo; oggi, l’antisemitisamo si cela nelle critiche allo Stato sionista. Strano, ma il nostro amato presidente Giorgio Napolitano aveva già detto la stessa identica cosa prima. Quando il vassallo indovina ed anticipa i desideri del suo signore, questa sì è vera fedeltà (fealty, sottomissione).
Ma c’è sempre qualcuno che ti supera in fealty: Roma, 19 marzo - (Adnkronos): Silvio Berlusconi condivide personalmente la sofferenza per gli attacchi terroristici in Israele. «Sento personalmente la sofferenza della gente in Israele, e questo mi fa sempre sentire più vicino», afferma il leader del PdL in un’intervista esclusiva al quotidiano israeliano Yedioth Ahronot. Ecco tra chi siamo chiamati a scegliere, noi occidentali.
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1) Dal sito dell’organizzazione: «The United Jewish Communities represents and serves 155 Jewish federations and 400 independent Jewish communities across North America. It reflects the values
of social justice and human rights that define the Jewish people. The values of caring that transform lives and perform miracles». Esiste anche una filiale della UJC in Israele: «UJC Israel acts as the liaison between Israel and the American Jewish community, interfacing with the government, the Jewish Agency for Israel (JAFI) and the Joint Distribution Committee (JDC), the business community, the voluntary sector, opinion makers, the media, and the general public».
Maurizio Blondet da www.effedieffe.com
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