giovedì 21 febbraio 2008
Sottoterra, per rifare il tempio
GERUSALEMME: Gli abitanti di Silwan, quartiere arabo di Gerusalemme, hanno notato le crepe sui muri
delle loro case, qualche calcinaccio caduto: e così hanno scoperto che gli «archeologi di Geova» erano di nuovo al lavoro nel sottosuolo, sotto i loro piedi.
«Questi lavori minacciano di far crollare le nostre case», dice Fakhri Abu Diab, capo del comitato per la difesa di Silwan: «Ancora una volta, nessuno s’è degnato di avvertirci, né di farci vedere
i permessi. I coloni agiscono come se noi non esistessimo».
Sì, perché gli archeologi dediti agli scavi nel sottosuolo di Silwan, ricco di storia e di resti antichi, non sono veramente archeologi.
Sono, spiega testualmente Le Monde, membri della «associazione Elad, un gruppo di coloni fondamentalisti, a cui il Servizio Israeliano delle Antichità ha concesso il terreno (altrui) e chi
da allora è diventato maestro nell’arte di strumentalizzare il sottosuolo di Gerusalemme a fini politici. Nel giro di una ventina d’anni, a forza di persecuzioni giuridiche, falsificazione
di documenti e reclutamento di collaboratori, Elad è riuscita a impadronirsi di oltre 50 abitazioni nel centro di Silwan» (1).
Questi «archeologi» sono interessati soprattutto agli antichi tunnel di cui è traforato il sottosuolo della città.
Secondo il «Comitato israeliano contro le demolizioni di case», uno dei gruppi ebraici che cerca
di aiutare i palestinesi in questo frangente, Elad vuole collegare il tunnel detto di Ezechia (che fa parte di un parco-percorso archeologico visitabile) con un’altra antichissima galleria, attualmente murata, perché porta proprio sotto la verticale della moschea di Al Aqsa.
Ossia il luogo più santo per l’Islam fuori dalla Mecca.
Ora, da decenni potenti e ben finanziati gruppi di zeloti ebraici tentano di far crollare o esplodere
la moschea di Al Aqsa, perché su quel luogo - dove ritengono fosse il «Santo dei Santi», il luogo interno dell’antico tempio ebraico dove avveniva il sacrificio dell’agnello pasquale - vogliono far sorgere il terzo Tempio.
Ci sono stati in passato progetti, a malapena sventati, di portare tonnellate di esplosivo sotto
Al Aqsa attraverso quelle gallerie.
Nel 1996, il governo Netanyahu autorizzò l’apertura di un tunnel sotto la spianata delle moschee (Monte del Tempio per gli ebrei): in difesa di Al Aqsa, i palestinesi provocarono una sommossa che la polizia israeliana sedò a mitragliate: oltre 70 palestinesi uccisi, e 17 ebrei.
Negli anni, lo Stato sionista è diventato sempre meno laico e sempre più corrivo coi fanatici che vogliono ricostruire il Tempio, distruggendo la moschea.
Il pericolo si avvicina, per i palestinesi.
Meir Margalit, il capo del Comitato israeliani contro le demolizioni, spiega: «questi cosiddetti archeologi dell’Elad sono individui impregnati di una ideologia messianica; immaginano che
il Terzo Tempio scenderà dal cielo schiacciando e distruggendo la moschea. Basta che i palestinesi sentano ancora una volta che la moschea è in pericolo, per far scoppiare una nuova esplosione popolare. E i peggio è che il governo non tiene a freno quei pericolosi fanatici».
Lungi dal tenere a freno, come abbiamo visto, il regime sionista ha dato agli zeloti di Elad lo status di «archeologi», autorizzando i loro scavi che, oltre a rendere pericolanti le case palestinesi, mirano ad avvicinarsi ad Al Aqsa dal disotto.
La complicità fra Elad e i servizi di sicurezza israeliani è più che evidente.
Il 10 febbraio scorso quattro palestinesi hanno fatto ricorso alla Corte Suprema contro gli scavi che avvengono sotto i loro pavimenti; immediatamente sono stati arrestati dalla polizia giudaica
con l’accusa di aver «danneggiato il cantiere archeologico».
Poco prima altri due palestinesi, dopo aver presentato una denuncia al commissariato per gli scavi abusivi, sono stati arrestati con l’accusa di «violenza».
Persino Yossi Beilin, il deputato israeliano del partito Meretz (di sinistra e pacifista), avendo chiesto di poter visitare gli scavi, s’è visto rifiutare il permesso dalle Belle Arti israeliane.
Le Monde ha cercato di contattare le Belle Arti, il Dipartimento dei Parchi Nazionali e lo stesso gruppo Elad: nessuno ha voluto dare spiegazioni, ciascuno rimandando all’altro la responsabilità
dei lavori.
Reticenza, dispetto: cosa vogliono sapere questi goym?
«E’ sempre così», sospira Margalit, il capo del Comitato: «Sempre la stessa storia. Il governo fa fare il lavoro sporco ai coloni fanatici, e chiude tutt’e due gli occhi. E tutti tacciono».
Scava scava, vecchia talpa.
Fino all’Apocalisse.
Quando si rivelerà «l’uomo d’iniquità, colui che s’oppone e s’innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o è oggetto di culto, fino a sedersi egli stesso nel Tempio di Dio, dichiarando Dio se stesso» (San Paolo, II Tessalonicesi, 2, 4-5).
La distruzione della moschea Al Aqsa sarebbe un sacrilegio per l’Islam.
Ma la ricostruzione del Tempio e la ripetizione del rito dell’agnello - ciò a cui puntano i fanatici, per «riattivare» la loro religione rimasta senza rito sacramentale - sarebbe una bestemmia inaudita anche per i cristiani: per i quali l’ultimo Agnello è stato sacrificato duemila anni fa, ed ora si adora non su un monte, ma «in Spirito e verità».
Può entrare in questo discorso anche una notizia solo apparentemente senza rapporto con esso.
La comunità ebraica di Budapest ha dato mandato all’avvocato Peter Wolz per reclamare, a nome dei sopravvissuti di Auschwitz, 40 miliardi di dollari di danni al governo americano (2).
Ma come?
Gli USA non sono colpevoli dell’olocausto, anzi hanno combattuto i nazisti…
Si, replica Wolz a nome dei suoi clienti: ma l’America non ha fatto abbastanza per gli ebrei.
Non lo ha ammesso lo stesso presidente Bush, nella sua recente visita a Vad Yashem in Israele? «Avremmo dovuto bombardare Auschwitz», ha detto, e poi (su suggerimento della Rice) ha precisato: «Voglio dire, dovevamo bombardare nel ‘44 le ferrovie e i ponti che portavano gli ebrei ad Auschwitz».
Gli ebrei ungheresi l’hanno preso in parola.
Hanno calcolato che se avessero bombardato le ferrovie, gli americani avrebbero salvato 400 mila ebrei in più.
Fatti due conti sul costo di ogni vita ebrea non salvata per omissione di bombe, la comunità ebreo-ungherese (quella da cui viene George Soros), ha presentato il conto: americani, pagate 40 miliardi di dollari; e pentitevi, voi complici della Soah.
Evidentemente, è una prova di onnipotenza e arbitrio, praticamente divina.
Solo chi si sente Dio può agire così: tutti colpevoli, tutti davanti al tribunale supremo, nessun innocente tranne il popolo divino.
La causa pende alla corte federale di Colombia, Washington.
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1) Benjamin Barthe, «Fouilles archeologiques, outil politique des colons de Jérusalem», Le Monde, 20 febbraio 2008.
2) Anna Bystroem, «Hungarian Jews called to register for class action», Budapest Sun, 13 febbraio 2008. «Düsseldorf-based Wolz says he has already filed a class action for $40 billion against the US government at the Federal District court of Colombia, in Washington DC. The class action concerns the failure of the Allies to bomb the railway bridges between Hungary and Auschwitz during the Second World War. Wolz believes the bombing of the railway bridges could have saved more than 400,000 Hungarian Jews life during 1944. He put the number of Budapest Jews who escaped the Holocaust - people like financier George Soros and the late Congressman Tom Lantos - at about 120,000 only».
Maurizio Blondet
da www.effedieffe.com
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