Si avvicinano le elezioni del 13 aprile. E' il momento di mostrare chiaramente le nostre posizioni: su queste verrà scelto lo schieramento politico che avrà il nostro appoggio. (Per evitare di essere troppo prolisso sono costretto a rimandare il lettore agli articoli precedenti se volesse approfondire qualche punto. E' possibile aiutarsi con la ricerca delle parole-chiave nel motore di ricerca interno o con le etichette)
1) A sostegno della Vita.
Abrogare la 194 è attualmente impossibile. Chiediamo che venga modificata e applicata. Quindi ci auspichiamo
a) un sostanzioso sostegno economico alle donne con basso reddito che non potrebbero portare avanti la gravidanza. Durante la gravidanza e per i primi 2 anni della vita del bambino.
b) un sostegno psicologico alle donne che, vittime di violenza o di pressioni esterne, non sono mentalmente in grado di dare alla luce il figlio.
c) Dare sepoltura ai bambini abortiti (cosa attualmente consentita dalla legge, su richiesta)
d) Corretta informazione in merito alla possibilità dell'abbandono del figlio in ospedale e dell'affidamento a strutture specializzate. Mantenendo la possibilità da parte della madre, un giorno e se lo vorrà, di ritrovare il suo bambino.
e) Riconoscere il valore infinito della vita umana fin dal suo concepimento con una corretta informazione scientifica.
Che l'aborto sia l'ultima spiaggia. Non un metodo contraccettivo o un'arma al servizio dell'eugenetica.
Contro ogni droga. Aiuti sanitari a tossicodipendenti e inasprimento delle pene per i spacciatori. Ridimensionamento della dose personale (scelleratamente aumentata dalla ministro Turco).
Sgravi fiscali per le famiglie numerose.
Contro l'eutanasia e contro l'accanimento terapeutico. Fornire al paziente terminale alimentazione, cura del dolore e sostegno psicologico. Nei casi ingestibili anche indurre il coma. Anche se dovesse anticipare la morte.
2) Pace.
Quindi contro ogni guerra di conquista. Soprattutto quelle che non ci appartengono come accade sul fronte afgano ed iracheno. Il nostro servilismo nei confronti degli USA non costerà altro sangue italiano.
3) Difesa della famiglia
Quella tradizione, formata da un uomo e una donna. Quindi ci esprimiamo contro il matrimonio tra omosessuali. D'altro canto siamo contrari ad ogni forma di razzismo. Non trovo nessun problema se un omosessuale vuole lasciare al compagno i suoi averi in eredità (ovviamente mantenendo la legittima) o andarlo a trovare in ospedale.
4) Controllo dell'immigrazione
Umano rimpatrio dei clandestini, miglioramento delle condizioni dei centri di accoglienza, rimpatrio coatto degli immigrati che si macchiano di reati. Dall'altro lato ci auspichiamo un inasprimento delle pene per i datori di lavoro che sfruttano gli immigrati facendoli lavorare in nero in condizioni inaccettabili.
5) Corporazioni in difesa dei lavoratori
Corporativismo, al posto di sindacati che, quando non corrotti o servi del potere, spesso mostrano un'ottusità singolare. Tutelare i lavoratori nella ricerca della pace sociale, aumentando indirettamente la qualità del lavoro.
6) Contro la massoneria
Che muove come pupazzi i nostri politici. Contro ogni servilismo verso Stati oltreoceano.
7) Lotta contro la mafia
Instancabile lotta. Armare la magistratura di leggi efficaci per smantellare una delle piaghe della nostra terra.
8) Riconoscere il valore della Chiesa Cattolica
Sacra Istituzione a cui dobbiamo millenni della storia della nostra terra. Respingere il laicismo che vuole tappare la bocca alle persone colpevoli esclusivamente di avere Fede.
9) Case per il popolo
Attualmente sono insufficienti. Se esci di casa puoi trovare un altro che si è barricato dentro casa tua e neanche la polizia li può fare sloggiare. Una vergogna.
10) Libertà di parola
Cancellare i reati d'opinione e ogni legge liberticida. Mancino-Scelba in primis. Presto scrivere un libro potrebbe portarti in galera. Austria docet.
11) A sostegno delle popolazioni vittime di violenza.
Alludo alla Palestina, ma anche a tutte le altre popolazioni in Birmania, in Darfur o in ogni altra parte del mondo.
Mi dicono che alcuni punti sembrano scritti da uno di destra, altri da uno di sinistra. E' la dimostrazione che non obbedisco a nessuna logica di partito. Alle urne, da uomo libero.
sabato 23 febbraio 2008
L'europa si vergogna di Gaza
Il governo israeliano «sta ricevendo forti segnali che USA ed Europa sono molto irritate dalla mancanza di progressi nei negoziati coi palestinesi».
Lo scrive il quotidiano ebraico Haaretz, che descrive come gli ambasciatori israeliani in Europa abbiamo mandato numerosi telegrammi cifrati segnalando al ministero degli Esteri (Tzipi Livni) come molti Stati europei minaccino di rivedere il loro atteggiamento verso Hamas, in relazione alla situazione umanitaria creata a Gaza dal blocco sionista.
I rapporti cifrati - alcuni dei quali l’inviato di Haaretz dice di aver letto personalmente - si appuntano con allarme sull’ultima riunione del Quartetto per il Medio Oriente, tenuta a Berlino
l’11 febbraio.
C’erano l’americano David Welch (assistente di Condoleezza Rice per il Medio Oriente),
Mark Otte, che è l’inviato della UE per la pace, Robert Serry, l’inviato dell’ONU, e il russo
Sergei Yakovlev, responsabile del Medio Oriente per Mosca.
Il Quartetto dovrebbe monitorare i progressi del «processo di pace» secondo il ruolino di marcia messo a punto ad Annapolis.
In quella riunione, si sono sentite frasi piuttosto lontane dal solito servilismo verso Sion.
Serry, l’europeo, «Ha criticato Israele fin dall’inizio della seduta», riporta Haaretz: «Siamo molto preoccupati della situazione a Gaza, specie sotto il profilo umanitario», ha esordito: «Si deve trovare una soluzione».
E ha denunciato che l’assedio israeliano impedisce persino ai soccorritori dell’ONU di portare aiuto ai palestinesi.
Otte, l’inviato della UE, è stato duro: «Non solo nulla migliora sul terreno, ma il comportamento di Israele diventa sempre peggiore, e sempre più inadempiente verso le obbligazioni della road map» che Olmert ha accettato ad Annapolis.
Otte ha sottolineato che non solo Israele ha chiuso a Gerusalemme Est le istituzioni dell’Autorità Palesinese (il futuro «governo» collaborazionista con cui Sion dovrebbe trattare), ma ha prolungato di sei mesi l’ordine di chiusura, il che non indica né buona volontà né buona fede.
«Per cui, dobbiamo considerare un cambio di politica in tutto ciò che riguarda Gaza», ha concluso Otto.
Il che significa fare qualche apertura ad Hamas, ciò che Israele assolutamente non vuole - essendo riuscita ad imporre l’equazione «Hamas eguale terrorismo islamico» - e che le sue lobby nei vari Stati si prodigano per impedire.
Il russo Yakovlev ha detto, a nome del suo Paese, che bisogna fare in modo che i palestinesi formino un governo di unità nazionale (Autorità e Hamas), altra cosa che Israele non vuole.
Ma senza una riconciliazione tra Hamas e Fatah, ha detto Yakovlev, «la striscia di Gaza diventa una bomba a orologeria che distruggerà il processo di Annapolis».
Persino David Welch ha criticato le azioni israeliane a Gaza, dicendo che gli Stati Uniti le disapprovano, anche se ha ricordato i razzi Kassam che continuano a cadere sul villaggio di Sderot, la scusa con cui Israele si rifiuta di proseguire il negoziato, e a cui risponde con bombardamenti e missili e omicidi mirati con danni collaterali di civili massacrati.
In ogni caso, Welch ha detto anche: il Quartetto deve esigere da Israele a riapertura dei valichi di Gaza.
Evidentemente gli occidentali cominciano a vergognarsi di assistere senza protestare, anzi cooperandovi, al lento sterminio per fame del milione e mezzo di abitanti di Gaza.
Haaretz rivela che solo «grazie ad una massiccia offensiva diplomatica» e lobbyistica Israele è finora riuscita a impedire che da Bruxelles parta una formale dichiarazione di disapprovazione,
da parte della UE, di ciò che gli ebrei fanno a Gaza (probabilmente la campagna della comunità contro «gli antisemiti» in Italia e la famosa lista dei professori lobbyisti definita «una nuova Notte dei Cristalli» fa parte della massiccia offensiva).
Solo forti pressioni israelo-americane sulla Svizzera hanno impedito alla Confederazione Elvetica di indire un vertice internazionale con lo scopo di forzare la riapertura dei valichi di Gaza.
Il ministro della Guerra sionista, Ehud Barak, in visita in Turchia, s’è sentito chiedere da Ankara di consentire ai soccorsi turchi di passare a Gaza, almeno una volta.
Il ministro francese Bernard Kouchner ha chiesto ad Israele, durante la sua visita, di riaprire i maledetti valichi.
Inoltre, «alti responsabili dell’Unione Europea sono stati sentiti mentre denunciavano gli atti di Israele a Gaza, e deplorazioni su questo tema sono state passate in diversi parlamenti europei».
«Tutta questa agitazione», ha scritto Ran Koriel, ambasciatore israeliano alla UE, nel suo rapporto segreto alla Livni, «è collegata alla cultura europea di esibire preoccupazione per le questioni umanitarie» (eh sì, scusateci, abbiamo questa debolezza), sicchè «nonostante la sospensione» dell’iniziativa di una deplorazione formale a Bruxelles del comportamento giudaico (grazie alle accuse di «antisemitismo» sparse a mitraglia), «i giorni sono contati» prima che venga discussa
«la legittimità internale di ciò che avviene a Gaza».
La prospettiva peggiore, per lo stato ebraico, è che - come sta pensando di fare Parigi - ciò porti a una riconsiderazione generale dell’atteggiamento europeo verso Israele, che potrebbe anche finire con un riconoscimento di Hamas.
Non avverrà, non avverrà.
State tranquilli: le vostre lobby e Frattini il Kommissario vegliano contro questo «disagio umanitario», maschera estrema dell’antisemitismo.
Ma è istruttivo sapere che questo disagio c’è e cresce in Europa.
Ed è ancora più istruttivo apprenderlo da un giornale israeliano.
I nostri media, ovvio, non ne hanno dato notizia.
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1) Barak Ravid, «Livni: palestinian people have no future under Hamas rule», Haaretz, 21 febbraio 2008.
Maurizio Blondet da www.effedieffe.com
Se così il Kosovo,perchè no anche la Palestina?
Come previsto, dichiarata dal Kosovo la sua dichiarazione unilaterale di indipendenza, gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi dell'Unione europea, con la quale questa dichiarazione è stata coordinata, si sono precipitati ad estendere il riconoscimento diplomatico di questo "nuovo paese". Questa linea d'azione dovrebbe colpire chiunque come un atto incredibilmente sconsiderato contro il diritto internazionale e contro il senso comune.
Le conseguenze potenzialmente destabilizzanti di questo precedente (che gli USA e la UE insistono, bizzarramente, a chiarire che non deve essere visto come un precedente), sono state molto discusse con riferimento ad altri Stati sovrani riconosciuti a livello internazionale, con forti movimenti separatisti praticanti,ma capaci di auto-governo.
Esempi sono
Abkhazia(regione de facto indipendente della Georgia)
Ossezia meridionale(tra russia e georgia)
Transnistria(separata dalla Moldova,è una regione confinante con l'ucraina)
Nagorno-Karabakh( regione interna dell' Azerbaijan)
la Republika Srpska della Bosnia
la Repubblica turca di Cipro del Nord
Kurdistan iracheno
e così via per le altre minoranze scontente altrove(normandia,baschi,scozzesi per fare rapidi esempi). Una consenguenza potenzialmente distruttiva non è stata ancora discussa.
L'incredibile impazienza americana ed europea a riconoscere la separazione di una regione da uno stato universamente riconosciuto e membro del Consiglio d'Europa (oltre che con un forte avvio diplomatico verso l'ingresso definitivo nell'UE) apparentemente perché il 90 per cento di coloro che vivono in quella porzione di territorio sostengono la separazione,contrasta con l'altrettanto incredibile e illimitata pazienza di Stati Uniti e Unione europea quando si tratta di porre fine alla quarantennale belligerante occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (nessuno parte di questi due paesi riconosce la sovranità di Israele,dichiarata da Israele stesso unilateralmente con l'occupazione di Gerusalemme Est).
Praticamente ogni residente con diritto di voto della Cisgiordania e della Striscia di Gaza mira alla libertà, e per più da 40 anni. Per questo, sono puniti, sanzionati, assediati, umiliati e, giorno dopo giorno senza fine, uccisi da coloro che affermano di stare su un più alto piano morale.
Agli occhi di USA e UE, una dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla sovranità serba dovrebbe essere riconosciuta, anche se la Serbia non è d'accordo.
Tuttavia, il loro atteggiamento è stato radicalmente diverso quando la Palestina ha dichiarato la propria indipendenza dall'occupazione israeliana, il 15 novembre 1988. Quindi, gli Stati Uniti e i paesi dell'UE (che, ai loro stessi occhi, costituiscono la "comunità internazionale", pur con l'esclusione della maggior parte degli uomini) erano assenti, quindi pur se ben più di 100 paesi avevano riconosciuto il nuovo Stato di Palestina, il loro non riconoscimento ha reso questa Dichiarazione di indipendenza un atto "simbolico". Purtroppo, per la maggior parte dei palestinesi,nei fatti è così.
Per gli Stati Uniti e l'Unione europea, l'indipendenza palestinese, per essere riconosciuta ed efficace, deve essere direttamente negoziata su una base bilaterale selvaggiamente ineguale tra la potenza occupante e gli occupati con l'accento posto sul raggiungimento di un accordo finale dalla potenza occupante.
Per gli USA e l'UE, i diritti e le aspirazioni di persone occupate e brutalmente torturate nonché del diritto internazionale, sono irrilevanti.
Per gli stessi Stati Uniti e l'Unione europea, gli albanesi del Kosovo, dopo aver goduto di quasi nove anni di amministrazione delle Nazioni Unite e della protezione NATO, non possono più aspettare per la loro libertà, mentre i palestinesi, che hanno sopportato più di 40 anni di occupazione israeliana, possono aspettare in eterno .
L'inutile "trattato di Annapolis" (come inutile doveva essere fin dall'inizio per intenzione di USraele),precedente al Kosovo, offre la leadership palestinese basata su Ramallah[sede del parlamento palestinese,n.d.r.] - accettata come tale dalla "comunità internazionale" perché è percepita come israeliana e pronta a servire gli interessi americani - un'occasione d'oro per prendere l'iniziativa,cancellare l'agenda e ripristinare la sua intaccata reputazione agli occhi del suo popolo[il governo palestinese non gode di chissà quale appoggio attualmente dal popolo n.d.r.].
Se questa leadership crede veramente, nonostante tutte le prove del contrario, che una decente "soluzione-due Stati" è ancora possibile, ora è un momento ideale per riaffermare l'esistenza legale (pur sotto la continua occupazione belligerante) dello Stato di Palestina, esplicitamente In tutto il 22% della Palestina obbligatoria, che non è stato conquistato e occupato dallo Stato di Israele fino al 1967, e di chiedere a tutti quei paesi che non hanno esteso il riconoscimento diplomatico dello Stato di Palestina nel 1988(in particolare gli Stati Uniti e L'UE) di farlo adesso.
La leadership albanese del Kosovo, ha promesso protezione per la minoranza serba del Kosovo, che ora è pronto a fuggire nella paura.
La leadership palestinese potrebbe promettere un generoso accordo di un periodo di tempo per il ritiro dei coloni israeliani che vivono illegalmente nello Stato di Palestina e per le forze di occupazione israeliane.
Come pure di prendere in considerazione un'unione economica con Israele, l'apertura delle frontiere e lo status di residente permanente per i coloni illegali disposti a vivere in pace sotto il governo palestinese.
Ovviamente, per evitare che gli USA e la UE considerino tale iniziativa come uno scherzo, se sono disposti a farlo ci dovrebbe essere una significativa ed esplicita conseguenza:la fine dell'illusione dei "due Stati".
La leadership palestinese potrebbe mettere in chiaro che, se gli Stati Uniti e l'Unione europea, avendo appena riconosciuto un secondo stato sovrano albanese sul territorio di uno Stato membro delle Nazioni Unite, ora non riconosce uno Stato palestinese su una piccola porzione di terra palestinese occupata, si provvederà a Sciogliere l'Autorità palestinese (che, per legge, doveva aver cessato di esistere nel 1999, al termine dei cinque anni di "periodo interinale" sotto accordi di Oslo), e il popolo palestinese dovrà cercare la giustizia e la libertà attraverso la democrazia, attraverso il persistente, non-violento perseguimento di pieni diritti di cittadinanza in un unico Stato in tutte le terre di Israele-palestina, privo di qualsiasi discriminazione basata sulla razza e la religione e con parità di diritti per tutti coloro che vi risiedono.
La Leadership palestinese ha tollerato l'ipocrisia e il razzismo occidentale recitando il ruolo di sciocchi ingenui, per troppo tempo.
E' giunto il momento di rilanciare un tavolo di discussione costruttivo per far capire alla comunità internazionale che il popolo palestinese non tollererà ancora a lungo l'insopportabile ingiustizia e gli atroci abusi.
John Whitbeck
giovedì 21 febbraio 2008
Sottoterra, per rifare il tempio
GERUSALEMME: Gli abitanti di Silwan, quartiere arabo di Gerusalemme, hanno notato le crepe sui muri
delle loro case, qualche calcinaccio caduto: e così hanno scoperto che gli «archeologi di Geova» erano di nuovo al lavoro nel sottosuolo, sotto i loro piedi.
«Questi lavori minacciano di far crollare le nostre case», dice Fakhri Abu Diab, capo del comitato per la difesa di Silwan: «Ancora una volta, nessuno s’è degnato di avvertirci, né di farci vedere
i permessi. I coloni agiscono come se noi non esistessimo».
Sì, perché gli archeologi dediti agli scavi nel sottosuolo di Silwan, ricco di storia e di resti antichi, non sono veramente archeologi.
Sono, spiega testualmente Le Monde, membri della «associazione Elad, un gruppo di coloni fondamentalisti, a cui il Servizio Israeliano delle Antichità ha concesso il terreno (altrui) e chi
da allora è diventato maestro nell’arte di strumentalizzare il sottosuolo di Gerusalemme a fini politici. Nel giro di una ventina d’anni, a forza di persecuzioni giuridiche, falsificazione
di documenti e reclutamento di collaboratori, Elad è riuscita a impadronirsi di oltre 50 abitazioni nel centro di Silwan» (1).
Questi «archeologi» sono interessati soprattutto agli antichi tunnel di cui è traforato il sottosuolo della città.
Secondo il «Comitato israeliano contro le demolizioni di case», uno dei gruppi ebraici che cerca
di aiutare i palestinesi in questo frangente, Elad vuole collegare il tunnel detto di Ezechia (che fa parte di un parco-percorso archeologico visitabile) con un’altra antichissima galleria, attualmente murata, perché porta proprio sotto la verticale della moschea di Al Aqsa.
Ossia il luogo più santo per l’Islam fuori dalla Mecca.
Ora, da decenni potenti e ben finanziati gruppi di zeloti ebraici tentano di far crollare o esplodere
la moschea di Al Aqsa, perché su quel luogo - dove ritengono fosse il «Santo dei Santi», il luogo interno dell’antico tempio ebraico dove avveniva il sacrificio dell’agnello pasquale - vogliono far sorgere il terzo Tempio.
Ci sono stati in passato progetti, a malapena sventati, di portare tonnellate di esplosivo sotto
Al Aqsa attraverso quelle gallerie.
Nel 1996, il governo Netanyahu autorizzò l’apertura di un tunnel sotto la spianata delle moschee (Monte del Tempio per gli ebrei): in difesa di Al Aqsa, i palestinesi provocarono una sommossa che la polizia israeliana sedò a mitragliate: oltre 70 palestinesi uccisi, e 17 ebrei.
Negli anni, lo Stato sionista è diventato sempre meno laico e sempre più corrivo coi fanatici che vogliono ricostruire il Tempio, distruggendo la moschea.
Il pericolo si avvicina, per i palestinesi.
Meir Margalit, il capo del Comitato israeliani contro le demolizioni, spiega: «questi cosiddetti archeologi dell’Elad sono individui impregnati di una ideologia messianica; immaginano che
il Terzo Tempio scenderà dal cielo schiacciando e distruggendo la moschea. Basta che i palestinesi sentano ancora una volta che la moschea è in pericolo, per far scoppiare una nuova esplosione popolare. E i peggio è che il governo non tiene a freno quei pericolosi fanatici».
Lungi dal tenere a freno, come abbiamo visto, il regime sionista ha dato agli zeloti di Elad lo status di «archeologi», autorizzando i loro scavi che, oltre a rendere pericolanti le case palestinesi, mirano ad avvicinarsi ad Al Aqsa dal disotto.
La complicità fra Elad e i servizi di sicurezza israeliani è più che evidente.
Il 10 febbraio scorso quattro palestinesi hanno fatto ricorso alla Corte Suprema contro gli scavi che avvengono sotto i loro pavimenti; immediatamente sono stati arrestati dalla polizia giudaica
con l’accusa di aver «danneggiato il cantiere archeologico».
Poco prima altri due palestinesi, dopo aver presentato una denuncia al commissariato per gli scavi abusivi, sono stati arrestati con l’accusa di «violenza».
Persino Yossi Beilin, il deputato israeliano del partito Meretz (di sinistra e pacifista), avendo chiesto di poter visitare gli scavi, s’è visto rifiutare il permesso dalle Belle Arti israeliane.
Le Monde ha cercato di contattare le Belle Arti, il Dipartimento dei Parchi Nazionali e lo stesso gruppo Elad: nessuno ha voluto dare spiegazioni, ciascuno rimandando all’altro la responsabilità
dei lavori.
Reticenza, dispetto: cosa vogliono sapere questi goym?
«E’ sempre così», sospira Margalit, il capo del Comitato: «Sempre la stessa storia. Il governo fa fare il lavoro sporco ai coloni fanatici, e chiude tutt’e due gli occhi. E tutti tacciono».
Scava scava, vecchia talpa.
Fino all’Apocalisse.
Quando si rivelerà «l’uomo d’iniquità, colui che s’oppone e s’innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o è oggetto di culto, fino a sedersi egli stesso nel Tempio di Dio, dichiarando Dio se stesso» (San Paolo, II Tessalonicesi, 2, 4-5).
La distruzione della moschea Al Aqsa sarebbe un sacrilegio per l’Islam.
Ma la ricostruzione del Tempio e la ripetizione del rito dell’agnello - ciò a cui puntano i fanatici, per «riattivare» la loro religione rimasta senza rito sacramentale - sarebbe una bestemmia inaudita anche per i cristiani: per i quali l’ultimo Agnello è stato sacrificato duemila anni fa, ed ora si adora non su un monte, ma «in Spirito e verità».
Può entrare in questo discorso anche una notizia solo apparentemente senza rapporto con esso.
La comunità ebraica di Budapest ha dato mandato all’avvocato Peter Wolz per reclamare, a nome dei sopravvissuti di Auschwitz, 40 miliardi di dollari di danni al governo americano (2).
Ma come?
Gli USA non sono colpevoli dell’olocausto, anzi hanno combattuto i nazisti…
Si, replica Wolz a nome dei suoi clienti: ma l’America non ha fatto abbastanza per gli ebrei.
Non lo ha ammesso lo stesso presidente Bush, nella sua recente visita a Vad Yashem in Israele? «Avremmo dovuto bombardare Auschwitz», ha detto, e poi (su suggerimento della Rice) ha precisato: «Voglio dire, dovevamo bombardare nel ‘44 le ferrovie e i ponti che portavano gli ebrei ad Auschwitz».
Gli ebrei ungheresi l’hanno preso in parola.
Hanno calcolato che se avessero bombardato le ferrovie, gli americani avrebbero salvato 400 mila ebrei in più.
Fatti due conti sul costo di ogni vita ebrea non salvata per omissione di bombe, la comunità ebreo-ungherese (quella da cui viene George Soros), ha presentato il conto: americani, pagate 40 miliardi di dollari; e pentitevi, voi complici della Soah.
Evidentemente, è una prova di onnipotenza e arbitrio, praticamente divina.
Solo chi si sente Dio può agire così: tutti colpevoli, tutti davanti al tribunale supremo, nessun innocente tranne il popolo divino.
La causa pende alla corte federale di Colombia, Washington.
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1) Benjamin Barthe, «Fouilles archeologiques, outil politique des colons de Jérusalem», Le Monde, 20 febbraio 2008.
2) Anna Bystroem, «Hungarian Jews called to register for class action», Budapest Sun, 13 febbraio 2008. «Düsseldorf-based Wolz says he has already filed a class action for $40 billion against the US government at the Federal District court of Colombia, in Washington DC. The class action concerns the failure of the Allies to bomb the railway bridges between Hungary and Auschwitz during the Second World War. Wolz believes the bombing of the railway bridges could have saved more than 400,000 Hungarian Jews life during 1944. He put the number of Budapest Jews who escaped the Holocaust - people like financier George Soros and the late Congressman Tom Lantos - at about 120,000 only».
Maurizio Blondet
da www.effedieffe.com
martedì 19 febbraio 2008
L'europa sempre sottomessa
Più di un lettore pone domande sull’evento storico, tremendo e grandioso, che si profila: la rapidissima caduta dell’unica superpotenza rimasta.
«Sono convinto quanto Lei», scrive uno, «che la superpotenza minidotata, gli Stati Uniti, siano sull’orlo del baratro, è altrettanto facile prevedere una (lunga?) fase di transizione confusa nel Paese, tale da poter portare a grossi disservizi, carenze e deficit anche nell’apparato militare.
Non credo sia uno scenario irreale il configurarsi di una fase di stallo, anche decisionale, nei vertici delle forze armate statunitensi; ebbene una situazione di questo tipo genera in me paura e una domanda, la paura è legata ad azioni sconsiderate da parte di singoli generali, un po’ alla ‘dottor Stranamore’.
La domanda invece riguarda le basi NATO sul nostro territorio, cosa ne faremo? Saranno mantenute in efficienza le postazioni di lancio, i missili, l’arsenale in genere presente sul nostro suolo?».
Difficile prevedere, caro amico.
Solo di una cosa sono abbastanza sicuro: non ci saranno fughe in avanti di generali-Stranamore.
I generali USA, umiliati dalla realtà, sono oggi i meno inclini ad impegnare le loro forze
(di cui conoscono l’usura) in una nuova guerra.
Il vero pericolo di avventurismi e fughe in avanti viene, come sempre, dai civili: quegli strateghi da tavolino che non avendo mai visto una guerra, credono ancora nelle fantastiche capacità delle super-armi di garantire un’egemonia già persa.
Specificamente, i neocon, quelli che hanno trascinato l’America nei pantani afghani e iracheni: questa gente approfitta del vuoto di leadership americano (indice primario della crisi: alla Casa Bianca c’è il vuoto) per agitare fantastici scenari o sogni di potere globale, che per quanto irreali non sono meno pericolosi.
Di recente un guru dei neoconservatori, Robert Kagan, si rallegrava della tensione fra Europa e Russia, creata da questioni come i missili (USA) piazzati in Polonia e il riconoscimento
del Kosovo (1).
La sua proposta: trasformare queste tensioni in «fratture», onde arrivare ad un conflitto armato con la Russia sul suolo europeo.
«Una crisi in Ucraina, che vuole unirsi alla NATO», scrive il fanatico, «può portare ad un faccia a faccia diretto con la Russia. E le dispute tra il governo georgiano e le forze separatiste di Abkhazia e sud-Ossetia, sostenute dalla Russia, possono salire fino a un conflitto militare tra Tbilisi e Mosca. Allora, un conflitto più vasto può essere preordinato».
Questo conflitto è benvenuto, sottintende Kagan, perché assicurerà la sottomissione dell’Europa disarmata al suo protettore storico (Washington) compensando la perdite di egemonia americana in Asia.
E’ per questo, in fondo, che Washington ha voluto fortemente, con pressioni inaudite sugli europei, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo: creare problemi e ferite aperte in Europa, onde perpetuare il bisogno di «sicurezza», fornitoci - presuntivamente - dagli Stati Uniti.
Praticamente ogni attrito dell’Europa con Mosca è stato causato non dall’Europa (né da Mosca), bensì da decisioni americane.
Washington capisce che non può più esercitare il controllo sul mondo, e rafforza il suo controllo sulla UE, il suo cane d’appartamento, già domestico.
Solo con la UE, con il suo enorme mercato, gli USA sono ancora qualcosa di fronte alla Cina.
Non siamo noi che abbiamo bisogno di loro, ma loro ad aver bisogno di noi.
Si noti: questo Kagan può diventare un ministro nell’amministrazione McCain, se il repubblicano preferito dall’industria degli armamenti verrà eletto.
Folli ma lucidi, i neocon conoscono bene il riflesso cui cede l’America quando cade - com’è già accaduto nel ‘29 - in una «très grande dépression» economica: il riflesso dell’isolazionismo, del ritirarsi dagli affari del mondo, a curare le sue ferite sociali ed economiche nazionali.
Il ridimensionamento delle ambizioni globali.
Essi sono decisi a impedirlo, in nome del business multinazionale, della finanza, del complesso militare-industriale e del «destino manifesto».
Oggi, Bush implora l’Arabia Saudita di aumentare la produzione di greggio («Danneggia le nostre famiglie, la benzina cara fa male alle nostre famiglie»), e ne riceve un rifiuto.
Robert Gates, il capo del Pentagono, esige con arroganza dall’Europa che mandi più truppe a morire in Afghanistan, nella guerra voluta dagli USA e in cui l’Europa non ha nulla da guadagnare.
Sei anni fa, Rumsfeld rifiutò l’aiuto militare europeo.
Oggi gli eurocrati sarebbero ben lieti di obbedire scodinzolando, ma le opinioni pubbliche europee non lo tollererebbero.
Ecco l’altra parte del problema del tramonto della superpotenza: l’Europa resta, nei suoi «governanti», servile.
Il rischio è che obbedirà anche a Kagan, se diventa ministro.
Nonostante la palese impotenza crescente della superpotenza, la UE e gli staterelli-membri continuano a piegarsi alle sue arroganze.
Il sito Dedefensa, con le sue ottime entrature a Bruxelles, ne dà un esempio (2).
Particolarmente penoso per noi, perché riguarda «una fonte italiana di alto livello vicina a Prodi», «una fonte che fu vicina al primo ministro, nel suo governo, lungo tutta la durata del governo».
A questa fonte italiana ministeriale (Parisi? D’Alema? Ricardo Franco Levi?) il giornalista fa domande a proposito del Joint Strike Fighter, il supercaccia fortemente voluto dagli americani, che altri Paesi europei hanno rifiutato (inutilmente costoso, per le minacce presenti e del tutto superfluo nelle guerre coloniali che paiono essere il nostro destino), ma che Berlusconi ha abbracciato con entusiasmo, e Prodi non ha affatto cancellato.
Ebbene: la «fonte», invece di pronunciare le frasi diplomatiche d’uso («E’ un buon programma, ovvio che lo abbiamo proseguito») si mette a piagnucolare sulle pressioni che il governo Prodi ha ricevuto da Washington.
Le frasi testuali, riportate da Dedefensa: «Non potevamo fare niente; c’è stata una tale pressione, una tale costanza nella pressione, che ha impregnato tutto il nostro sistema politico. Siamo letteralmente prigionieri. E’ molto più che una normale situazione di ‘influenza’. E’ una situazione che è insita nella psicologia e nella stessa sostanza del nostro sistema politico».
E' una agghiacciante confessione, da leggere su più livelli.
Si ha paura di un «alleato» di cui s’indovina la follia, l’irrazionalismo disperato, ma ne «siamo letteralmente prigionieri».
E questa prigionia non viene dalla potenza dell’alleato, ma dalla «psicologia e dalla sostanza stessa» del nostro sistema politico.
Cinquant’anni di subordinazione hanno creato un’abitudine alla dipendenza, che non si sa né si vuole scuotere.
Perché bisognerebbe ripensare in termini di strategia e geopolitica, e non solo i nostri cosiddetti governanti non ne sono capaci, ma nemmeno sospettano che la geopolitica e il pensiero strategico mondiale servano a qualcosa: per loro «politica» è la sceneggiata tutta interna e meschina che ci offrono ogni giorno.
Berlusconi resta fisso nel suo filo-americanismo ormai insensato, senza nemmeno intuire che l’America presto si rimpicciolirà all’orizzonte, dopo chissà quali colpi di coda.
Veltroni non ha mai detto nulla in politica estera.
Entrambi, credo, pensano che l’alleanza-subordinazione con gli USA, e la durata della NATO, la fede nella invincibile potenza USA, e nella sua cosiddetta democrazia (che si è trasformata in uno Stato di repressione) «vadano da sé».
La consapevolezza che esprime il nostro lettore, e che rende fremente la sua preoccupata domanda: che cosa accadrà?, non li tocca nemmeno, i nostri politici.
Che cosa accade quando tramonta un impero, anzi precipita in una sorta di follia apocalittica, incapace di commisurare i fini ai mezzi, affidato ai Kagan e ai Wolfowitz?
Quali le conseguenze del fallimento della sua ideologia primaria, «l’internazionalismo capitalista» che ci ha travolto tutti nella globalizzazione speculativa?
Quali autarchie dobbiamo ristabilire rapidamente?
Quali instabilità e destabilizzazioni dobbiamo prevedere, per schivarle?
Quali alleanze stabilire?
Qual è, nel disordine mondiale, il nostro interesse nazionale?
I nostri politici non se lo domandano, e nemmeno sanno che devono domandarselo.
Uno torna al ponte di Messina, l’altro al «si può fare», al centrismo para-democristiano.
Chi dei due vincerà e ci governerà importa poco: sappiamo che saranno inadeguati al compito dei tempi nuovi e calamitosi che ci attendono.
Per esempio, le conseguenze di un dato che già si manifesta nel mondo, e che Flynt Leverett, analista di geopolitica dell’energia alla New America Foundation, ha espresso così (3):
«Una ‘comunità’ di potenze industriali e di esportatori d’energia largamente non democratici (secondo la concezione USA) sta già fondando le basi per una reciproca collaborazione strategica, intesa a limitare la capacità americana di adempiere ai suoi progetti egemonici».
Ecco un’analisi adatta ai tempi: di fronte a un’America indebolita e indebitata e schiacciata dalla sua stessa corazzatura militare, sale il blocco in formazione di potenze reali (industriali come la Cina, esportatrici d’energia come Russia e Iran e Paesi del Golfo) che già oggi contrastano insieme le pretese mondiali di Washington.
Questa è già la nuova figura del mondo: la forza reale sta in potenze «non democratiche» e ben consce del rischioso momento e del proprio interesse nazionale.
E noi?
Dovremmo chiederci con chi stare, come situarci.
Invece, riconosciamo il Kosovo, «Stato indipendente» che ha bisogno di assistenza e difesa, spina nel fianco che non serve a noi, ma alla superpotenza in precipitoso declino.
Perché è «l’alleato che ci ha liberato dal fascismo», come diceva Enzo Biagi.
Perché «ne siamo prigionieri»: prigionieri anzitutto psicologicamente.
Prigionieri, in fondo, della nostra stupidità, servilità, arretratezza intellettuale.
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1) Citato da Ulrich Rippert, «NATO security conference: US demands more european troops in Afghanistan», WSW, 13 febbraio 2008. L’articolo di Robert Kagan si intitola «The battle of Century», «La battaglia del secolo». Kagan è quello che, mentre Bush innescava le sue guerra, ha inventato lo pseudo concetto che l’Europa è «Venere» imbelle, mentre l’America è «Marte».
S’è visto.
2) «L’impuissance, l’ingérence et le JSF italien», Dedefensa, 18 febbraio 2008.
3) Jim Lobe, «Can the US brace its fall?», Antiwar.com, 18 febbraio 2008. «A ‘community’ of largely non-democratic manufacturing powers and energy exporters is already laying the groundwork for real strategic collaboration, aimed at limiting America’s ability to carry out [its] hegemonic agendas, Leverett, who served in the National Security Council under Bill Clinton and Bush, wrote recently in the National Interest journal published by the Nixon Center. As a result, the degree to which Washington can slow its decline and preserve its primacy will depend increasingly on its willingness to suppress its unilateralist reflexes and ‘to take account of the perceptions and interests of others in its foreign-policy decision-making’, according to Leverett».
Maurizio Blondet
Da www.effedieffe.com
giovedì 14 febbraio 2008
Moratoria contro l'aborto /4
Aggiornamenti in merito alla campagna per la moratoria contro l'aborto. Giro la notizia ricevuta ai lettori.
Cari amici, stiamo entrando nel pieno di una battaglia sociale resa aspra dalle manovre spudorate di poche persone."Le donne sono scene in piazza per difendere la 194" è una notizia falsa!
Alcune donne, la minoranza delle donne, sono scese in piazza,questa è la vera notizia. A Napoli il sequestro di quel povero feto perché fa tanto clamore, più di quei casi di violazione della legge italiana della Costituzione? Chi ha fatto la telefonata anonima ai Carabinieri? Non facciamoci confondere e iniziamo a rispondere attraverso la verità.
Vi preghiamo di diffondere questo comunicato ai vostri contatti.
Sul quotidiano laicista La Repubblica continua la campagna mediatica di aggressione alla moratoria sull’aborto. È in opera un quotidiano depistaggio di quell’opinione pubblica affezionata ad uno storico giornale italiano, strumento di formazione ideologica ancor prima che di informazione obiettiva, strumento di ricatto politico e di manipolazione della percezione della realtà.Ogni giorno la verità viene letteralmente insultata da La Repubblica ed è quindi il momento di affrontare il problema della ipocrisia del laicismo istituzionalizzato, l’ipocrisia di La Repubblica.
Ad esempio, e gli esempi sono abbondanti e quotidiani, nell’edizione del 14 febbraio 2008 a pagg. 12 e 13 si rivendica la dignità della donna, che si concreta nella libera scelta di sopprimere una vita umana attraverso l’aborto. In buona sostanza, su La Repubblica si difende la legge 194 usando termini come “inquisizione”, “crociate”, “caccia alle streghe”, “crudeltà ideologica”, accusando chi, come noi, ha a cuore la sorte del nascituro e della sua mamma insieme, senza escludere né l’uno né l’altra, insieme verso la vita. Indovinate chi ha potuto usare queste parole: Umberto Veronesi.
Il problema gigantesco è questo: perché la donna è trattata sul giornale La Repubblica come merce, come un prodotto, messa in vetrina come oggetto sessuale senza personalità e dignità di persona umana, priva di ogni altra qualità e quindi limitata solo al proprio corpo mercificato? Vedasi tutte le pubblicità all’interno del giornale e in particolare all’ultima pagina. Come si giustifica questa mercificazione della donna? Che dignità edifica La Repubblica per la donna? Non acquistate La Repubblica, terribile giornale che giorno dopo giorno, anno dopo anno, e per molti anni, tenta di distorcere la realtà nelle nostre menti. La donna non è un oggetto, è una persona e ha la dignità di persona in modo pieno. Quindi prima di riempire le sue pagine con le sciocchezze veronesi, la redazione di La Repubblica farebbe bene a iniziare a rispettare la donna nella sua vera e grande dignità, a partire dalle immagini pubblicitarie che ritraggono la donna come oggetto di fantasia sessuale maschile, merce da vendere, cosa di cui disporre.
Ricordiamo che La Repubblica è il secondo giornale italiano per copie quotidiane vendute appartiene al gruppo editoriale l'Espresso SpA, e che è stato fondato da Eugenio Scalfari, classe 1924, co-fondatore del Partito Radicale, dichiarato laicista e anticattolico, alcuni articoli di Scalfari hanno dato avvio a battaglie ideologico-culturali, quali i referendum sul divorzio e sull'aborto. La sua prima esperienza assoluta nel giornalismo è con Roma Fascista, mentre era studente di giurisprudenza. Dopo la fine della seconda guerra mondiale Scalfari rinnega il fascismo e aderisce al neonato partito liberale. Nel 1950 lavora presso la Banca Nazionale del Lavoro. Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nel 1963 passa al Partito Socialista Italiano con il quale è eletto nel consiglio comunale di Milano. Nel 1968 Scalfari diventa deputato della Repubblica. Fascista, liberale, radicale, socialista, e continua... eminenza della cultura e dell’informazione italiana? Probabilmente sì, ma di certo di quelle che come “banduerole cambian direzion al minim soffio de vento”. - Gruppo Editoriale EspressoAlto Adige/Corriere delle Alpi - L’Arena - Il Centro - Gazzetta dello Sport - Gazzetta di Reggio - Messaggero Veneto - La Nuova Ferrara - Nuova Gazzetta di Modena - La Nuova Sardegna - La Provincia Pavese - La Repubblica - Il Tirreno - La Tribuna di Treviso - Libertà - Il Mattino di Padova - Il Piccolo - La Nuova Venezia - L’Espresso - Il Venerdì - National Geographic - D - La Repubblica delle Donne - Le Scienze
Massimiliano Musso
In Alto i cuori
www.fratelloembrione.it
Cari amici, stiamo entrando nel pieno di una battaglia sociale resa aspra dalle manovre spudorate di poche persone."Le donne sono scene in piazza per difendere la 194" è una notizia falsa!
Alcune donne, la minoranza delle donne, sono scese in piazza,questa è la vera notizia. A Napoli il sequestro di quel povero feto perché fa tanto clamore, più di quei casi di violazione della legge italiana della Costituzione? Chi ha fatto la telefonata anonima ai Carabinieri? Non facciamoci confondere e iniziamo a rispondere attraverso la verità.
Vi preghiamo di diffondere questo comunicato ai vostri contatti.
Sul quotidiano laicista La Repubblica continua la campagna mediatica di aggressione alla moratoria sull’aborto. È in opera un quotidiano depistaggio di quell’opinione pubblica affezionata ad uno storico giornale italiano, strumento di formazione ideologica ancor prima che di informazione obiettiva, strumento di ricatto politico e di manipolazione della percezione della realtà.Ogni giorno la verità viene letteralmente insultata da La Repubblica ed è quindi il momento di affrontare il problema della ipocrisia del laicismo istituzionalizzato, l’ipocrisia di La Repubblica.
Ad esempio, e gli esempi sono abbondanti e quotidiani, nell’edizione del 14 febbraio 2008 a pagg. 12 e 13 si rivendica la dignità della donna, che si concreta nella libera scelta di sopprimere una vita umana attraverso l’aborto. In buona sostanza, su La Repubblica si difende la legge 194 usando termini come “inquisizione”, “crociate”, “caccia alle streghe”, “crudeltà ideologica”, accusando chi, come noi, ha a cuore la sorte del nascituro e della sua mamma insieme, senza escludere né l’uno né l’altra, insieme verso la vita. Indovinate chi ha potuto usare queste parole: Umberto Veronesi.
Il problema gigantesco è questo: perché la donna è trattata sul giornale La Repubblica come merce, come un prodotto, messa in vetrina come oggetto sessuale senza personalità e dignità di persona umana, priva di ogni altra qualità e quindi limitata solo al proprio corpo mercificato? Vedasi tutte le pubblicità all’interno del giornale e in particolare all’ultima pagina. Come si giustifica questa mercificazione della donna? Che dignità edifica La Repubblica per la donna? Non acquistate La Repubblica, terribile giornale che giorno dopo giorno, anno dopo anno, e per molti anni, tenta di distorcere la realtà nelle nostre menti. La donna non è un oggetto, è una persona e ha la dignità di persona in modo pieno. Quindi prima di riempire le sue pagine con le sciocchezze veronesi, la redazione di La Repubblica farebbe bene a iniziare a rispettare la donna nella sua vera e grande dignità, a partire dalle immagini pubblicitarie che ritraggono la donna come oggetto di fantasia sessuale maschile, merce da vendere, cosa di cui disporre.
Ricordiamo che La Repubblica è il secondo giornale italiano per copie quotidiane vendute appartiene al gruppo editoriale l'Espresso SpA, e che è stato fondato da Eugenio Scalfari, classe 1924, co-fondatore del Partito Radicale, dichiarato laicista e anticattolico, alcuni articoli di Scalfari hanno dato avvio a battaglie ideologico-culturali, quali i referendum sul divorzio e sull'aborto. La sua prima esperienza assoluta nel giornalismo è con Roma Fascista, mentre era studente di giurisprudenza. Dopo la fine della seconda guerra mondiale Scalfari rinnega il fascismo e aderisce al neonato partito liberale. Nel 1950 lavora presso la Banca Nazionale del Lavoro. Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nel 1963 passa al Partito Socialista Italiano con il quale è eletto nel consiglio comunale di Milano. Nel 1968 Scalfari diventa deputato della Repubblica. Fascista, liberale, radicale, socialista, e continua... eminenza della cultura e dell’informazione italiana? Probabilmente sì, ma di certo di quelle che come “banduerole cambian direzion al minim soffio de vento”. - Gruppo Editoriale EspressoAlto Adige/Corriere delle Alpi - L’Arena - Il Centro - Gazzetta dello Sport - Gazzetta di Reggio - Messaggero Veneto - La Nuova Ferrara - Nuova Gazzetta di Modena - La Nuova Sardegna - La Provincia Pavese - La Repubblica - Il Tirreno - La Tribuna di Treviso - Libertà - Il Mattino di Padova - Il Piccolo - La Nuova Venezia - L’Espresso - Il Venerdì - National Geographic - D - La Repubblica delle Donne - Le Scienze
Massimiliano Musso
In Alto i cuori
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Quando la democrazia fu esportata a Dresda
Il bombardamento di Dresda (13-14 febbraio 1945).
Spaventoso cinismo di un’azione militare del tutto ingiustificata. Nel febbraio del 1945 la Germania era sconfitta ma gli angloamericani decisero ugualmente … (Ndr: l’azione e lo stesso carico di bombe fin dal 1943 era destinato a Milano). Scene infernali. Dopo aver raccolti i miseri resti bruciati, sullo sfondo, un gigantesco falò li incenerisce del tutto. Un inutile massacro. 200.000 corpi inceneriti. Macabro record di disumanità, non eguagliato neppure dai bombardamenti atomici sul Giappone Dresda non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti. Ma l’importante era “terrorizzare”. Ci riuscirono!
Amburgo, ore 0.55 del 28 luglio 1943. “… Fu l’inizio di un nuovo attacco aereo. Il fosforo dilagò sull’asfalto. Bombe a benzina alzavano nell’aria fontane di fuoco alte venti metri. Fosforo già incendiato si riversò sulle rovine come un violento acquazzone. Sibilava e turbinava come un ciclone. Bombe più grosse e potenti sollevarono letteralmente in aria intere case…. Le persone uscivano urlanti dalle rovine. Torce viventi vacillavano e cadevano, si rialzavano e correvano sempre più in fretta… Alcuni bruciavano con fiamme biancastre, altri avvolti da fiamme di un rosso acceso. Alcuni si consumavano lentamente in una incandescenza giallo - blu, altri morivano in modo rapido e pietoso. Ma altri ancora correvano in circolo, o si agitavano a gambe all’aria, sbattendo la testa avanti e indietro e contorcendosi come serpi prima di ridursi a piccoli fantocci carbonizzati. Si muovevano, quindi erano ancora vivi… Il sergente, sempre così calmo, perse per la prima volta il controllo da quando lo conoscevamo. Proruppe in un acuto grido: ‘Fateli fuori, per Dio, accoppateli’… Sembra brutale. Era brutale. Ma meglio una morte rapida, data con un colpo di pistola, che una lenta, mostruosa agonia. Nessuno di loro aveva la minima possibilità di salvezza” (da Germania Kaputt , di Sven Hassel - Ed. Longanesi, Milano).
Per parlarvi di Dresda e del suo martirio abbiamo preferito parlarvi prima di Amburgo, perché fu in questa città che, come vedremo, per la prima volta si sviluppò una tecnica distruttiva che prese il nome di Feuersturm , tempesta di fuoco. Ad Amburgo successe per caso, un caso che fu studiato e analizzato, per essere poi applicato scientificamente sulla città di Dresda.
E abbiamo voluto aprire il nostro studio con le parole di Sven Hassel, soldato di un reggimento corazzato di disciplina, che combatté su quasi tutti i fronti in cui fu impegnata la Germania e lasciò, coi suoi libri, una testimonianza impressionante. I libri di Sven Hassel furono definiti, anni fa, da un critico, libri di “bassa macelleria”. E’ verissimo, ma altro non potevano essere, dati gli argomenti. Sono gli stessi argomenti che tratteremo in questo lavoro. E’ una specie di discesa nell’orrore che non si vorrebbe mai percorrere, ma che non si può evitare, se si vuole fare della Storia e non dell’iconografia, in cui quelli che vincono sono i buoni.
Dresda era, in assoluto, la più bella e romantica città della Germania, e una delle più belle e romantiche d’Europa. Aveva scorci di grande suggestione, palazzi barocchi e rococò, piccole case di legno e mattoni fulvi che risalivano al medioevo gotico, vicoli punteggiati di taverne e birrerie senza tempo. Priva di industrie primarie, Dresda viveva una vita culturale intensa e cosmopolita. Apparteneva al mondo, non solo alla Germania, e tanto meno alla Germania nazista. La distruzione arrivò su questa città nel febbraio del 45, quando le sorti della guerra erano ormai segnate. Un uomo che senza dubbio la sapeva lunga, l’architetto Albert Speer, ministro tedesco degli armamenti e della produzione bellica, eccezionale organizzatore, grande amico di Hitler, non ebbe timori ad inviare a quest’ultimo, alla fine di gennaio del 45, un memorandum in cui prevedeva per la Germania la possibilità di resistere ancora per otto settimane. Sbagliava solo di un mese.
Dobbiamo perciò cercare di capire perché una città che era considerata un vero gioiello, che non aveva impianti industriale essenziali per la produzione bellica, che non rivestiva alcuna importanza sotto l’aspetto strategico, conobbe il più crudele attacco aereo di tutta la Seconda Guerra mondiale, effettuato oltretutto quando la sua popolazione, di circa 630.000 abitanti, era raddoppiata per la grande affluenza di profughi che provenivano dalla Slesia, dalla Pomerania Orientale e dalla Prussia, incalzati dall’Armata Rossa.
Ma prima di fare ciò, cerchiamo di chiarire in cosa consista il fenomeno fisico, di spaventosi effetti distruttivi, che passò alla Storia con il nome di “tempesta di fuoco”. Dobbiamo tornare ad Amburgo, la città che ebbe l’indesiderabile onore di sperimentare per prima questo fenomeno. Amburgo era un obiettivo militare primario; su questo punto non vi era discussione. La presenza dei cantieri che producevano quasi la metà dei sommergibili tedeschi basterebbe già a giustificare questa qualifica; ma Amburgo possedeva anche molte industrie pesanti, in massima parte collegate agli armamenti di terra, ed inoltre era anche un nodo vitale di comunicazioni. Il suo porto era il più attivo di tutta l’Europa continentale. Il maresciallo dell’aria Sir Arthur Harris, comandante del Bomber Command della RAF (l’aeronautica britannica) non voleva correre rischi e pianificò una di quelle operazioni di massa che erano tipiche delle sue teorie militari, peraltro avvalorate dai risultati di terribili distruzioni già effettuate sulla Ruhr e su Aquisgrana. In quattro successive incursioni effettuate tra la notte del 24 e quella del 27 luglio 1943, 2.350 bombardieri inglesi e americani scaricarono complessivamente su Amburgo più di 9.000 tonnellate di bombe, di cui circa la metà incendiarie. I morti furono oltre 50.000.
La grande quantità di bombe incendiarie sganciate su un’area relativamente limitata e ricca di fabbricati addensati e infiammabili e la mancanza di vento naturale sulla zona, portarono alla formazione di una corrente ascensionale di aria calda di inaudita potenza e temperatura. L’aria surriscaldata, a temperature dai 600 fino a 1.000 gradi, saliva verso il cielo e l’aria fredda circostante si precipitava a colmare il vuoto lasciato a livello del suolo, surriscaldandosi a sua volta. Il fenomeno si esaurì in tre ore, durante le quali si generarono venti diretti verso il centro dell’immane fornace a velocità fino a 300 km/ora. Chi veniva ghermito da questo vento non poteva opporre alcuna resistenza, ed era scaraventato al centro della zona incendiata, a temperature che volatilizzavano tutto.
“Le decina di migliaia di incendi si fusero in una sola gigantesca fiammata; dalla periferia un vento artificiale, sempre più violento, puntò verso il centro, infuocandosi e raggiungendo una velocità di 300 chilometri all’ora; chi si trovava all’aperto, sparì trascinato nel cielo; a terra, intanto, tutto bruciava con tale violenza che venne meno l’ossigeno necessario alla respirazione”. (da Mario Silvestri (fisico), La decadenza dell’Europa occidentale”, Einaudi)
Dove il soffio rovente era solo di 300-400 gradi furono ritrovati poi cadaveri carbonizzati ridotti a circa un metro di lunghezza. Via via che ci si allontanava dall’inferno la temperatura scendeva sui cento gradi e il vento non era più in grado di trascinare. Ma il calore eccessivo bruciava le vie respiratorie, uccidendo per soffocamento chi non era già morto nei rifugi per la mancanza di ossigeno causata dagli incendi. Infine, ci furono coloro che furono colpiti direttamente dagli schizzi del fosforo delle bombe incendiarie: pattuglie di soldati e poliziotti non poterono far altro che abbattere questi infelici per limitarne le sofferenze, come leggevamo in apertura, nell’impressionante testimonianza di Sven Hassel. Lo spostamento d’aria causato dalla corrente ascensionale fu di tale potenza da far oscillare i bombardieri pesanti Lancaster ed Halifax che incrociavano a 5.000 metri di quota. Circa il 70% delle vittime di Amburgo furono causate dalla tempesta di fuoco. Un orrore che sembrava giustificare il nome dato in codice al bombardamento di Amburgo: operazione Gomorra.
Le bombe incendiarie potevano essere caricate a benzina, oppure a termite, un composto di ossido di ferro e alluminio granulare, in grado di sviluppare un calore che fonde il ferro, o infine di fosforo o di fosgene. Lo sviluppo della tempesta di fuoco colse di sorpresa americani e britannici, ma quando ne fu chiara la meccanica Sir Harris, il già citato comandante del Bomber Command non si pose eccessivi problemi. Da tempo sosteneva la necessità di portare la maggior distruzione possibile sul suolo tedesco, per fiaccare la resistenza del popolo tedesco, oltre che per distruggere fabbriche ed impianti militari, e quindi il risultato della tempesta di fuoco fu per lui solo positivo. Il capolavoro di ipocrisia di questo alto ufficiale fu una dichiarazione secondo la quale egli riconosceva e rispettava l’unica convenzione internazionale in tema di guerra aerea, ossia quella stipulata dopo la Grande Guerra, che vietava il lancio di ordigni a gas da aerei e dirigibili. In effetti su Amburgo non fu lanciato alcun gas tossico: che bisogno ce ne sarebbe stato, lanciando già migliaia di tonnellate di esplosivi e di spezzoni incendiari?
Torniamo ora nel 1945; era il settimo anno in cui l’Europa era in guerra. Il mostro nazista era ormai vacillante, e leggevamo sopra la profezia del ministro tedesco Speer, che escludeva qualsiasi possibilità di vittoria e si limitava a calcolare il tempo che restava alla Germania prima di soccombere. Nel giugno dell’anno precedente la più grande operazione militare della Storia aveva visto gli alleati prender terra in Normandia e da lì iniziare a smantellare le resistenze della fortezza Europa. Da Est intanto le armate sovietiche andavano guadagnando terreno ed erano a soli centosessanta chilometri dal centro della Germania. Questo soprattutto terrorizzava le popolazioni tedesche, consce dei sentimenti dei russi che avevano sperimentato i comportamenti delle SS in territorio sovietico ed ora avanzavano in territorio tedesco con una sinistra scritta in cirillico sui carri armati: Vendetta!
In questo quadro di sfacelo generale la Germania mostrava però ancora doti di resistenza incredibile. Nel gennaio 1945 Goring riuscì ancora ad organizzare l’operazione Grande Colpo, che distrusse 196 aerei anglo-americani e ne danneggiò circa 400. bombardando campi di aviazione ormai stabilmente occupati dalla RAF e dall’ USAAF in Francia, Belgio e Olanda. All’operazione parteciparono 800 aerei tedeschi, caccia Messerschmitt 109 e Focke Wulf 190, oltre a qualche caccia a reazione. Erano canti del cigno, come un canto del cigno fu anche la controffensiva terrestre condotta dal generale von Rundstedt. Ma erano comunque fatti d’armi che davano la sensazione agli alleati di una guerra senza fine, dal finale scontato, ma che rischiava di essere ancora troppo lontano.
In questo clima Dresda viveva in una specie di limbo. Non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti. Un solo bombardamento, nell’ottobre dell’anno precedente, aveva causato poco più di 400 morti, una cifra quasi irrisoria nella tragica contabilità bellica. Nonostante l’affollamento di profughi di cui dicevamo, Dresda riusciva ad avere quantità di cibo abbastanza soddisfacenti. E molti profughi si dirigevano verso quella città proprio perché era ormai convinzione generale che fosse il posto più tranquillo in cui attendere la fine della guerra, nella speranza di veder arrivare gli americani, o gli inglesi, o i canadesi, o gli australiani, o chiunque fosse, prima dei temutissimi soldati sovietici. Circolava addirittura la voce, del tutto priva di fondamento ma tanto bella da poterla credere vera, di un accordo segreto tra la RAF e la Luftwaffe: gli inglesi si impegnavano a non bombardare Dresda, e i tedeschi si impegnavano allo stesso modo per Oxford. Del resto l’aviazione alleata continuava a martellare la Germania, nella quale ormai 45 delle principali città erano praticamente distrutte, ma lo faceva con una certa logica militare.
Dopo la prima fase delle incursioni vengono organizzate altre operazioni per colpire le fabbriche di carburanti sintetici e le reti di trasporti. Gli obbiettivi principali del gennaio 1945 furono le raffinerie di Dortmund, il centro ferroviario di Vohwinkel, le industrie di Norimberga e Hannover. A Dresda si poteva stare tranquilli, anche perché gli americani, più sensibili degli inglesi a considerazioni umanitarie non avrebbero mai accettato la distruzione di una città d’arte amata in tutto il mondo. Come l’accordo segreto tra RAF e Luftwafe, anche questa era una voce tanto infondata quanto bella da credere… A Dresda si poteva quindi anche festeggiare il carnevale. Il 13 febbraio 1945 era martedì grasso, e la sera il Circo Sarassini aveva dato uno spettacolo speciale, al quale erano intervenuti anche tantissimi bambini, nei loro costumi carnevaleschi. Purtroppo gli abitanti di Dresda non potevano sapere che il tempo delle considerazioni umanitarie, ma anche di quelle logiche, era passato. Diversi fattori concomitanti portarono al bombardamento della città capitale della Sassonia.
La resistenza della Germania, che aveva dell’incredibile, unita alla lunghissima durata della guerra, aveva di certo ormai portato ad una nausea psicologica anche i militari e i politici più ligi alle regole minime da rispettare anche in guerra. Ogni atto poteva essere buono per abbreviare la guerra, anche di un solo giorno. Crediamo sia legittimo affermare che lunghi anni a contatto continuo con morte e distruzione possano offuscare anche le menti più lucide. E infatti fin dall’estate dell’anno precedente RAF e USAAF avevano elaborato il piano Thunderclap (colpo di tuono), il cui scopo dichiarato era quello di portare il massimo del caos in Germania, con bombardamenti indiscriminati sulle città, in particolare approfittando dei problemi che già avevano le autorità tedesche per controllare le fiumane di profughi da Est, creando nuovi e irresolubili problemi di approvvigionamento e di ordine pubblico.
A questa visione distruttiva, sulla quale senza dubbio giocava il desiderio ormai incontrollabile di farla finita, si aggiungeva un’esigenza di cinica politica di potenza tra alleati. Inglesi e americani erano uniti in una innaturale alleanza con i sovietici, e la diffidenza reciproca si palesava sempre di più, ora che l’Armata Rossa avanzava sul territorio del Reich. I Russi dovevano vedere, bene e senza equivoci, quale fosse la potenza militare occidentale: quello che oggi poteva toccare a Berlino o a Dresda, domani poteva toccare a Mosca. Del resto i sovietici avevano già manifestato la loro contrarietà agli attacchi aerei su quelle zone della Germania che consideravano un loro territorio di caccia, e che sarebbero infatti, dopo la guerra, divenute la Repubblica Democratica Tedesca.
In questo dialogo insensato tra nemici che erano alleati solo perché c’era un nemico comune da distruggere, i cittadini di Dresda avrebbero presto pagato un conto che non era di loro competenza, vittime di cinismo e di quella malattia, lo ribadiamo, che aveva preso ormai gli alleati, anch’essi contagiati, al pari dei tedeschi, da una troppo lunga consuetudine con la morte e la distruzione. E l’avallo alla politica del massacro fu data dallo stesso primo ministro inglese Churchill, in una nota scritta al ministro per l’Aviazione, Sir Archibald Sinclair. Gli americani furono presto contagiati da questo clima, e l’Ottava Armata Aerea americana bombardò a tappeto Berlino il 3 febbraio: 937 fortezze volanti, scortate da 613 caccia, causarono 25.000 morti in una città dove c’era da stupirsi che ci fossero ancora dei vivi da uccidere. Alle ore 22.08 di martedì grasso (13 febbraio 1945) le sirene di allarme aereo vennero a interrompere i clown che si stavano esibendo nel carosello finale allo spettacolo carnevalesco del Circo Sarassini. Gli spettatori si allontanarono in ordine e quasi svogliatamente: era così ferma la convinzione che Dresda fosse esente da pericoli, che tutti credevano ad un eccesso di zelo dei funzionari del partito incaricati della protezione della città. Del resto, non c’era praticamente contraerea a Dresda; gli ultimi cannoni da 88, il miglior pezzo di artiglieria tedesco, erano stati trasferiti da diverse settimane a est, per essere usati in funzione controcarro contro l’armata sovietica.
Ma non era un eccesso di zelo. Due soli minuti dopo il cielo incominciava ad affollarsi: i primi quadrimotori Lancaster dell’83° squadriglia inglese lasciavano cadere grappoli di bengala che illuminavano a giorno la città, poi seguirono pochi Mosquitos, agili cacciabombardieri il cui compito era quello di individuare con bombe segnaletiche rosse l’epicentro del bombardamento, lo stadio sportivo. I Mosquitos fecero egregiamente il loro compito: nel centro esatto dello stadio si levava ora una luminosissima colonna rossa. I bombardieri avevano il loro bersaglio.
Dalle 22.13 alle 22.30 i Lancaster scaricano sulla città le terribili bombe dirompenti da 1.800 e 3.600 libbre. Poi si allontanano in direzione di Strasburgo, volando bassi per sfuggire ai radar tedeschi. I soccorsi iniziano ad affluire dalle città vicine, mentre gli abitanti escono lentamente dai rifugi. Erano quello che attendevano gli alleati: far uscire la gente, far arrivare i soccorsi, e tornare a colpire. La “Tecnica del massacro”.
Ore 1.28 del 14 febbraio. La seconda ondata arriva, indisturbata come la prima. Altri 529 Lancaster portano nelle stive 650.000 bombe: per lo più sono tutti ordigni incendiari. E’ l’inizio dell’inferno. Bombardando a destra e a sinistra delle zone già colpite dal primo attacco gli inglesi riescono a provocare la tempesta di fuoco. Dalle case già sventrate dalle bombe dirompenti viene aspirato ogni oggetto e ogni persona che si trovi nel primo chilometro dall’immane incendio. Si ripete Amburgo, ma questa volta scientificamente e con effetti enormemente superiori. Il vento a 300 km/ora trascina nella fornace ogni cosa, persona, animale. Persino vagoni ferroviari, distanti più di tre chilometri, vengono rovesciati. Il pilota di un Lancaster rimasto indietro racconterà: “C’era un mare di fuoco che secondo i miei calcoli copriva almeno un centinaio di chilometri quadrati. Il calore era tale che si sentiva fin nella carlinga; eravamo come soggiogati di fronte al terrificante incendio, pensando all’orrore che c’era là sotto… ”
Chi non ha il coraggio di uscire dai rifugi dopo il primo attacco, non per questo si salva. Molti faranno la fine dei topi, soffocati nei rifugi, privi di ossigeno, divorati dall’immane rogo. Nell’anno precedente nei rifugi antiaerei di Dresda era stata presa la precauzione di rendere abbattibile le pareti tra rifugio e rifugio, in modo da poter facilmente creare una sorta di galleria sotterranea, che permettesse una via di fuga se lo stabile sopra il rifugio in cui ci si trovava era crollato. Questa precauzione sarebbe stata efficace con un bombardamento ordinario, ma all’inferno di fuoco scatenato su Dresda non era opponibile nulla, se non il trovarsi a una distanza sufficiente per non essere trascinato dal vento e divorato dalle fiamme, o per non morire asfissiato per mancanza di ossigeno.
Il bagliore della colonna di fuoco di Dresda era visibile a oltre trecento chilometri. All’alba del 14 febbraio finalmente la tempesta di fuoco andava acquietandosi, mentre una colonna di fumo alta oltre cinque chilometri sovrastava la città. I sopravvissuti iniziavano ad aggirarsi inebetiti, ma il martirio non era ancora finito. Gli americani non potevano essere da meno degli inglesi: alle ore 12 di quel giorno 311 Fortezze Volanti B17 si presentarono nel cielo di Dresda, sganciando altre 771 tonnellate di bombe. Il nodo ferroviario era l’obiettivo ufficiale, ma di fatto il bombardamento fu eseguito a casaccio e causò pochi danni, perché ormai era rimasto poco da distruggere.
In totale su Dresda erano state sganciate 2.702 tonnellate di bombe. Un quantitativo non enorme, se confrontato con quello lanciato su altre città tedesche. Ma la preferenza data alle bombe incendiarie, che rappresentarono circa il 70% degli ordigni lanciati, causò la più spaventosa tragedia della guerra: i morti accertati furono 135.000, ma il conto più accreditato fa salire a circa 200.000 il numero delle vittime. Bisogna tener conto del fatto che non era possibile alcuna opera di identificazione per le vittime di molti rifugi antiaerei che, per ragioni igieniche, vennero spianati con le ruspe e ricoperti di calce e cemento, così come non fu possibile accertare il numero preciso delle vittime aspirate dalla tempesta di fuoco nella zona centrale dell’incendio, perché di loro non restò assolutamente nulla. Nella zona intermedia, dove la temperatura aveva raggiunto i livelli da forno (200 - 300 gradi) molti corpi si erano fusi con l’asfalto delle strade. Dresda era anche sovrappopolata per il grande afflusso di profughi, moltissimi dei quali non ancora censiti.
Gli incendi proseguirono per altri cinque giorni, poi si spensero da soli. Non esisteva la possibilità di fare alcuna opera di spegnimento, essendo distrutte le reti idriche e quelle elettriche. Per tre giorni le autorità chiusero il centro di Dresda e bruciarono i cadaveri che ancora non erano stati sepolti o interrati con calce e cemento. Il rischio di epidemie era troppo grande per dare spazio alla pietà per i defunti. Questo fu Dresda: un orribile massacro, che non trovò alcuna giustificazione dal punto di vista militare. Fu il macabro record di disumanità, non eguagliato neanche dai bombardamenti atomici sul Giappone, che causarono “solo” 150.000 morti.
Con la follia nazista il mondo conobbe senza dubbio le mostruosità più atroci, e tutt’oggi ci interroghiamo per capire, se mai lo capiremo, fino a quali abissi può arrivare l’uomo. Ma se l’abisso della crudeltà ci spaventa, non meno quello dell’ipocrisia ci lascia sgomenti. Quando nell’ottobre del 46 la Corte Internazionale di Norimberga giudicò i caporioni nazisti colpevoli di crimini contro l’umanità, su quei giudici aleggiavano dei fantasmi: erano le centinaia di migliaia di morti innocenti, che chiedevano una Giustizia che, evidentemente, non è di questo mondo.
Paolo Deotto
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1945n.htm)
Spaventoso cinismo di un’azione militare del tutto ingiustificata. Nel febbraio del 1945 la Germania era sconfitta ma gli angloamericani decisero ugualmente … (Ndr: l’azione e lo stesso carico di bombe fin dal 1943 era destinato a Milano). Scene infernali. Dopo aver raccolti i miseri resti bruciati, sullo sfondo, un gigantesco falò li incenerisce del tutto. Un inutile massacro. 200.000 corpi inceneriti. Macabro record di disumanità, non eguagliato neppure dai bombardamenti atomici sul Giappone Dresda non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti. Ma l’importante era “terrorizzare”. Ci riuscirono!
Amburgo, ore 0.55 del 28 luglio 1943. “… Fu l’inizio di un nuovo attacco aereo. Il fosforo dilagò sull’asfalto. Bombe a benzina alzavano nell’aria fontane di fuoco alte venti metri. Fosforo già incendiato si riversò sulle rovine come un violento acquazzone. Sibilava e turbinava come un ciclone. Bombe più grosse e potenti sollevarono letteralmente in aria intere case…. Le persone uscivano urlanti dalle rovine. Torce viventi vacillavano e cadevano, si rialzavano e correvano sempre più in fretta… Alcuni bruciavano con fiamme biancastre, altri avvolti da fiamme di un rosso acceso. Alcuni si consumavano lentamente in una incandescenza giallo - blu, altri morivano in modo rapido e pietoso. Ma altri ancora correvano in circolo, o si agitavano a gambe all’aria, sbattendo la testa avanti e indietro e contorcendosi come serpi prima di ridursi a piccoli fantocci carbonizzati. Si muovevano, quindi erano ancora vivi… Il sergente, sempre così calmo, perse per la prima volta il controllo da quando lo conoscevamo. Proruppe in un acuto grido: ‘Fateli fuori, per Dio, accoppateli’… Sembra brutale. Era brutale. Ma meglio una morte rapida, data con un colpo di pistola, che una lenta, mostruosa agonia. Nessuno di loro aveva la minima possibilità di salvezza” (da Germania Kaputt , di Sven Hassel - Ed. Longanesi, Milano).
Per parlarvi di Dresda e del suo martirio abbiamo preferito parlarvi prima di Amburgo, perché fu in questa città che, come vedremo, per la prima volta si sviluppò una tecnica distruttiva che prese il nome di Feuersturm , tempesta di fuoco. Ad Amburgo successe per caso, un caso che fu studiato e analizzato, per essere poi applicato scientificamente sulla città di Dresda.
E abbiamo voluto aprire il nostro studio con le parole di Sven Hassel, soldato di un reggimento corazzato di disciplina, che combatté su quasi tutti i fronti in cui fu impegnata la Germania e lasciò, coi suoi libri, una testimonianza impressionante. I libri di Sven Hassel furono definiti, anni fa, da un critico, libri di “bassa macelleria”. E’ verissimo, ma altro non potevano essere, dati gli argomenti. Sono gli stessi argomenti che tratteremo in questo lavoro. E’ una specie di discesa nell’orrore che non si vorrebbe mai percorrere, ma che non si può evitare, se si vuole fare della Storia e non dell’iconografia, in cui quelli che vincono sono i buoni.
Dresda era, in assoluto, la più bella e romantica città della Germania, e una delle più belle e romantiche d’Europa. Aveva scorci di grande suggestione, palazzi barocchi e rococò, piccole case di legno e mattoni fulvi che risalivano al medioevo gotico, vicoli punteggiati di taverne e birrerie senza tempo. Priva di industrie primarie, Dresda viveva una vita culturale intensa e cosmopolita. Apparteneva al mondo, non solo alla Germania, e tanto meno alla Germania nazista. La distruzione arrivò su questa città nel febbraio del 45, quando le sorti della guerra erano ormai segnate. Un uomo che senza dubbio la sapeva lunga, l’architetto Albert Speer, ministro tedesco degli armamenti e della produzione bellica, eccezionale organizzatore, grande amico di Hitler, non ebbe timori ad inviare a quest’ultimo, alla fine di gennaio del 45, un memorandum in cui prevedeva per la Germania la possibilità di resistere ancora per otto settimane. Sbagliava solo di un mese.
Dobbiamo perciò cercare di capire perché una città che era considerata un vero gioiello, che non aveva impianti industriale essenziali per la produzione bellica, che non rivestiva alcuna importanza sotto l’aspetto strategico, conobbe il più crudele attacco aereo di tutta la Seconda Guerra mondiale, effettuato oltretutto quando la sua popolazione, di circa 630.000 abitanti, era raddoppiata per la grande affluenza di profughi che provenivano dalla Slesia, dalla Pomerania Orientale e dalla Prussia, incalzati dall’Armata Rossa.
Ma prima di fare ciò, cerchiamo di chiarire in cosa consista il fenomeno fisico, di spaventosi effetti distruttivi, che passò alla Storia con il nome di “tempesta di fuoco”. Dobbiamo tornare ad Amburgo, la città che ebbe l’indesiderabile onore di sperimentare per prima questo fenomeno. Amburgo era un obiettivo militare primario; su questo punto non vi era discussione. La presenza dei cantieri che producevano quasi la metà dei sommergibili tedeschi basterebbe già a giustificare questa qualifica; ma Amburgo possedeva anche molte industrie pesanti, in massima parte collegate agli armamenti di terra, ed inoltre era anche un nodo vitale di comunicazioni. Il suo porto era il più attivo di tutta l’Europa continentale. Il maresciallo dell’aria Sir Arthur Harris, comandante del Bomber Command della RAF (l’aeronautica britannica) non voleva correre rischi e pianificò una di quelle operazioni di massa che erano tipiche delle sue teorie militari, peraltro avvalorate dai risultati di terribili distruzioni già effettuate sulla Ruhr e su Aquisgrana. In quattro successive incursioni effettuate tra la notte del 24 e quella del 27 luglio 1943, 2.350 bombardieri inglesi e americani scaricarono complessivamente su Amburgo più di 9.000 tonnellate di bombe, di cui circa la metà incendiarie. I morti furono oltre 50.000.
La grande quantità di bombe incendiarie sganciate su un’area relativamente limitata e ricca di fabbricati addensati e infiammabili e la mancanza di vento naturale sulla zona, portarono alla formazione di una corrente ascensionale di aria calda di inaudita potenza e temperatura. L’aria surriscaldata, a temperature dai 600 fino a 1.000 gradi, saliva verso il cielo e l’aria fredda circostante si precipitava a colmare il vuoto lasciato a livello del suolo, surriscaldandosi a sua volta. Il fenomeno si esaurì in tre ore, durante le quali si generarono venti diretti verso il centro dell’immane fornace a velocità fino a 300 km/ora. Chi veniva ghermito da questo vento non poteva opporre alcuna resistenza, ed era scaraventato al centro della zona incendiata, a temperature che volatilizzavano tutto.
“Le decina di migliaia di incendi si fusero in una sola gigantesca fiammata; dalla periferia un vento artificiale, sempre più violento, puntò verso il centro, infuocandosi e raggiungendo una velocità di 300 chilometri all’ora; chi si trovava all’aperto, sparì trascinato nel cielo; a terra, intanto, tutto bruciava con tale violenza che venne meno l’ossigeno necessario alla respirazione”. (da Mario Silvestri (fisico), La decadenza dell’Europa occidentale”, Einaudi)
Dove il soffio rovente era solo di 300-400 gradi furono ritrovati poi cadaveri carbonizzati ridotti a circa un metro di lunghezza. Via via che ci si allontanava dall’inferno la temperatura scendeva sui cento gradi e il vento non era più in grado di trascinare. Ma il calore eccessivo bruciava le vie respiratorie, uccidendo per soffocamento chi non era già morto nei rifugi per la mancanza di ossigeno causata dagli incendi. Infine, ci furono coloro che furono colpiti direttamente dagli schizzi del fosforo delle bombe incendiarie: pattuglie di soldati e poliziotti non poterono far altro che abbattere questi infelici per limitarne le sofferenze, come leggevamo in apertura, nell’impressionante testimonianza di Sven Hassel. Lo spostamento d’aria causato dalla corrente ascensionale fu di tale potenza da far oscillare i bombardieri pesanti Lancaster ed Halifax che incrociavano a 5.000 metri di quota. Circa il 70% delle vittime di Amburgo furono causate dalla tempesta di fuoco. Un orrore che sembrava giustificare il nome dato in codice al bombardamento di Amburgo: operazione Gomorra.
Le bombe incendiarie potevano essere caricate a benzina, oppure a termite, un composto di ossido di ferro e alluminio granulare, in grado di sviluppare un calore che fonde il ferro, o infine di fosforo o di fosgene. Lo sviluppo della tempesta di fuoco colse di sorpresa americani e britannici, ma quando ne fu chiara la meccanica Sir Harris, il già citato comandante del Bomber Command non si pose eccessivi problemi. Da tempo sosteneva la necessità di portare la maggior distruzione possibile sul suolo tedesco, per fiaccare la resistenza del popolo tedesco, oltre che per distruggere fabbriche ed impianti militari, e quindi il risultato della tempesta di fuoco fu per lui solo positivo. Il capolavoro di ipocrisia di questo alto ufficiale fu una dichiarazione secondo la quale egli riconosceva e rispettava l’unica convenzione internazionale in tema di guerra aerea, ossia quella stipulata dopo la Grande Guerra, che vietava il lancio di ordigni a gas da aerei e dirigibili. In effetti su Amburgo non fu lanciato alcun gas tossico: che bisogno ce ne sarebbe stato, lanciando già migliaia di tonnellate di esplosivi e di spezzoni incendiari?
Torniamo ora nel 1945; era il settimo anno in cui l’Europa era in guerra. Il mostro nazista era ormai vacillante, e leggevamo sopra la profezia del ministro tedesco Speer, che escludeva qualsiasi possibilità di vittoria e si limitava a calcolare il tempo che restava alla Germania prima di soccombere. Nel giugno dell’anno precedente la più grande operazione militare della Storia aveva visto gli alleati prender terra in Normandia e da lì iniziare a smantellare le resistenze della fortezza Europa. Da Est intanto le armate sovietiche andavano guadagnando terreno ed erano a soli centosessanta chilometri dal centro della Germania. Questo soprattutto terrorizzava le popolazioni tedesche, consce dei sentimenti dei russi che avevano sperimentato i comportamenti delle SS in territorio sovietico ed ora avanzavano in territorio tedesco con una sinistra scritta in cirillico sui carri armati: Vendetta!
In questo quadro di sfacelo generale la Germania mostrava però ancora doti di resistenza incredibile. Nel gennaio 1945 Goring riuscì ancora ad organizzare l’operazione Grande Colpo, che distrusse 196 aerei anglo-americani e ne danneggiò circa 400. bombardando campi di aviazione ormai stabilmente occupati dalla RAF e dall’ USAAF in Francia, Belgio e Olanda. All’operazione parteciparono 800 aerei tedeschi, caccia Messerschmitt 109 e Focke Wulf 190, oltre a qualche caccia a reazione. Erano canti del cigno, come un canto del cigno fu anche la controffensiva terrestre condotta dal generale von Rundstedt. Ma erano comunque fatti d’armi che davano la sensazione agli alleati di una guerra senza fine, dal finale scontato, ma che rischiava di essere ancora troppo lontano.
In questo clima Dresda viveva in una specie di limbo. Non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti. Un solo bombardamento, nell’ottobre dell’anno precedente, aveva causato poco più di 400 morti, una cifra quasi irrisoria nella tragica contabilità bellica. Nonostante l’affollamento di profughi di cui dicevamo, Dresda riusciva ad avere quantità di cibo abbastanza soddisfacenti. E molti profughi si dirigevano verso quella città proprio perché era ormai convinzione generale che fosse il posto più tranquillo in cui attendere la fine della guerra, nella speranza di veder arrivare gli americani, o gli inglesi, o i canadesi, o gli australiani, o chiunque fosse, prima dei temutissimi soldati sovietici. Circolava addirittura la voce, del tutto priva di fondamento ma tanto bella da poterla credere vera, di un accordo segreto tra la RAF e la Luftwaffe: gli inglesi si impegnavano a non bombardare Dresda, e i tedeschi si impegnavano allo stesso modo per Oxford. Del resto l’aviazione alleata continuava a martellare la Germania, nella quale ormai 45 delle principali città erano praticamente distrutte, ma lo faceva con una certa logica militare.
Dopo la prima fase delle incursioni vengono organizzate altre operazioni per colpire le fabbriche di carburanti sintetici e le reti di trasporti. Gli obbiettivi principali del gennaio 1945 furono le raffinerie di Dortmund, il centro ferroviario di Vohwinkel, le industrie di Norimberga e Hannover. A Dresda si poteva stare tranquilli, anche perché gli americani, più sensibili degli inglesi a considerazioni umanitarie non avrebbero mai accettato la distruzione di una città d’arte amata in tutto il mondo. Come l’accordo segreto tra RAF e Luftwafe, anche questa era una voce tanto infondata quanto bella da credere… A Dresda si poteva quindi anche festeggiare il carnevale. Il 13 febbraio 1945 era martedì grasso, e la sera il Circo Sarassini aveva dato uno spettacolo speciale, al quale erano intervenuti anche tantissimi bambini, nei loro costumi carnevaleschi. Purtroppo gli abitanti di Dresda non potevano sapere che il tempo delle considerazioni umanitarie, ma anche di quelle logiche, era passato. Diversi fattori concomitanti portarono al bombardamento della città capitale della Sassonia.
La resistenza della Germania, che aveva dell’incredibile, unita alla lunghissima durata della guerra, aveva di certo ormai portato ad una nausea psicologica anche i militari e i politici più ligi alle regole minime da rispettare anche in guerra. Ogni atto poteva essere buono per abbreviare la guerra, anche di un solo giorno. Crediamo sia legittimo affermare che lunghi anni a contatto continuo con morte e distruzione possano offuscare anche le menti più lucide. E infatti fin dall’estate dell’anno precedente RAF e USAAF avevano elaborato il piano Thunderclap (colpo di tuono), il cui scopo dichiarato era quello di portare il massimo del caos in Germania, con bombardamenti indiscriminati sulle città, in particolare approfittando dei problemi che già avevano le autorità tedesche per controllare le fiumane di profughi da Est, creando nuovi e irresolubili problemi di approvvigionamento e di ordine pubblico.
A questa visione distruttiva, sulla quale senza dubbio giocava il desiderio ormai incontrollabile di farla finita, si aggiungeva un’esigenza di cinica politica di potenza tra alleati. Inglesi e americani erano uniti in una innaturale alleanza con i sovietici, e la diffidenza reciproca si palesava sempre di più, ora che l’Armata Rossa avanzava sul territorio del Reich. I Russi dovevano vedere, bene e senza equivoci, quale fosse la potenza militare occidentale: quello che oggi poteva toccare a Berlino o a Dresda, domani poteva toccare a Mosca. Del resto i sovietici avevano già manifestato la loro contrarietà agli attacchi aerei su quelle zone della Germania che consideravano un loro territorio di caccia, e che sarebbero infatti, dopo la guerra, divenute la Repubblica Democratica Tedesca.
In questo dialogo insensato tra nemici che erano alleati solo perché c’era un nemico comune da distruggere, i cittadini di Dresda avrebbero presto pagato un conto che non era di loro competenza, vittime di cinismo e di quella malattia, lo ribadiamo, che aveva preso ormai gli alleati, anch’essi contagiati, al pari dei tedeschi, da una troppo lunga consuetudine con la morte e la distruzione. E l’avallo alla politica del massacro fu data dallo stesso primo ministro inglese Churchill, in una nota scritta al ministro per l’Aviazione, Sir Archibald Sinclair. Gli americani furono presto contagiati da questo clima, e l’Ottava Armata Aerea americana bombardò a tappeto Berlino il 3 febbraio: 937 fortezze volanti, scortate da 613 caccia, causarono 25.000 morti in una città dove c’era da stupirsi che ci fossero ancora dei vivi da uccidere. Alle ore 22.08 di martedì grasso (13 febbraio 1945) le sirene di allarme aereo vennero a interrompere i clown che si stavano esibendo nel carosello finale allo spettacolo carnevalesco del Circo Sarassini. Gli spettatori si allontanarono in ordine e quasi svogliatamente: era così ferma la convinzione che Dresda fosse esente da pericoli, che tutti credevano ad un eccesso di zelo dei funzionari del partito incaricati della protezione della città. Del resto, non c’era praticamente contraerea a Dresda; gli ultimi cannoni da 88, il miglior pezzo di artiglieria tedesco, erano stati trasferiti da diverse settimane a est, per essere usati in funzione controcarro contro l’armata sovietica.
Ma non era un eccesso di zelo. Due soli minuti dopo il cielo incominciava ad affollarsi: i primi quadrimotori Lancaster dell’83° squadriglia inglese lasciavano cadere grappoli di bengala che illuminavano a giorno la città, poi seguirono pochi Mosquitos, agili cacciabombardieri il cui compito era quello di individuare con bombe segnaletiche rosse l’epicentro del bombardamento, lo stadio sportivo. I Mosquitos fecero egregiamente il loro compito: nel centro esatto dello stadio si levava ora una luminosissima colonna rossa. I bombardieri avevano il loro bersaglio.
Dalle 22.13 alle 22.30 i Lancaster scaricano sulla città le terribili bombe dirompenti da 1.800 e 3.600 libbre. Poi si allontanano in direzione di Strasburgo, volando bassi per sfuggire ai radar tedeschi. I soccorsi iniziano ad affluire dalle città vicine, mentre gli abitanti escono lentamente dai rifugi. Erano quello che attendevano gli alleati: far uscire la gente, far arrivare i soccorsi, e tornare a colpire. La “Tecnica del massacro”.
Ore 1.28 del 14 febbraio. La seconda ondata arriva, indisturbata come la prima. Altri 529 Lancaster portano nelle stive 650.000 bombe: per lo più sono tutti ordigni incendiari. E’ l’inizio dell’inferno. Bombardando a destra e a sinistra delle zone già colpite dal primo attacco gli inglesi riescono a provocare la tempesta di fuoco. Dalle case già sventrate dalle bombe dirompenti viene aspirato ogni oggetto e ogni persona che si trovi nel primo chilometro dall’immane incendio. Si ripete Amburgo, ma questa volta scientificamente e con effetti enormemente superiori. Il vento a 300 km/ora trascina nella fornace ogni cosa, persona, animale. Persino vagoni ferroviari, distanti più di tre chilometri, vengono rovesciati. Il pilota di un Lancaster rimasto indietro racconterà: “C’era un mare di fuoco che secondo i miei calcoli copriva almeno un centinaio di chilometri quadrati. Il calore era tale che si sentiva fin nella carlinga; eravamo come soggiogati di fronte al terrificante incendio, pensando all’orrore che c’era là sotto… ”
Chi non ha il coraggio di uscire dai rifugi dopo il primo attacco, non per questo si salva. Molti faranno la fine dei topi, soffocati nei rifugi, privi di ossigeno, divorati dall’immane rogo. Nell’anno precedente nei rifugi antiaerei di Dresda era stata presa la precauzione di rendere abbattibile le pareti tra rifugio e rifugio, in modo da poter facilmente creare una sorta di galleria sotterranea, che permettesse una via di fuga se lo stabile sopra il rifugio in cui ci si trovava era crollato. Questa precauzione sarebbe stata efficace con un bombardamento ordinario, ma all’inferno di fuoco scatenato su Dresda non era opponibile nulla, se non il trovarsi a una distanza sufficiente per non essere trascinato dal vento e divorato dalle fiamme, o per non morire asfissiato per mancanza di ossigeno.
Il bagliore della colonna di fuoco di Dresda era visibile a oltre trecento chilometri. All’alba del 14 febbraio finalmente la tempesta di fuoco andava acquietandosi, mentre una colonna di fumo alta oltre cinque chilometri sovrastava la città. I sopravvissuti iniziavano ad aggirarsi inebetiti, ma il martirio non era ancora finito. Gli americani non potevano essere da meno degli inglesi: alle ore 12 di quel giorno 311 Fortezze Volanti B17 si presentarono nel cielo di Dresda, sganciando altre 771 tonnellate di bombe. Il nodo ferroviario era l’obiettivo ufficiale, ma di fatto il bombardamento fu eseguito a casaccio e causò pochi danni, perché ormai era rimasto poco da distruggere.
In totale su Dresda erano state sganciate 2.702 tonnellate di bombe. Un quantitativo non enorme, se confrontato con quello lanciato su altre città tedesche. Ma la preferenza data alle bombe incendiarie, che rappresentarono circa il 70% degli ordigni lanciati, causò la più spaventosa tragedia della guerra: i morti accertati furono 135.000, ma il conto più accreditato fa salire a circa 200.000 il numero delle vittime. Bisogna tener conto del fatto che non era possibile alcuna opera di identificazione per le vittime di molti rifugi antiaerei che, per ragioni igieniche, vennero spianati con le ruspe e ricoperti di calce e cemento, così come non fu possibile accertare il numero preciso delle vittime aspirate dalla tempesta di fuoco nella zona centrale dell’incendio, perché di loro non restò assolutamente nulla. Nella zona intermedia, dove la temperatura aveva raggiunto i livelli da forno (200 - 300 gradi) molti corpi si erano fusi con l’asfalto delle strade. Dresda era anche sovrappopolata per il grande afflusso di profughi, moltissimi dei quali non ancora censiti.
Gli incendi proseguirono per altri cinque giorni, poi si spensero da soli. Non esisteva la possibilità di fare alcuna opera di spegnimento, essendo distrutte le reti idriche e quelle elettriche. Per tre giorni le autorità chiusero il centro di Dresda e bruciarono i cadaveri che ancora non erano stati sepolti o interrati con calce e cemento. Il rischio di epidemie era troppo grande per dare spazio alla pietà per i defunti. Questo fu Dresda: un orribile massacro, che non trovò alcuna giustificazione dal punto di vista militare. Fu il macabro record di disumanità, non eguagliato neanche dai bombardamenti atomici sul Giappone, che causarono “solo” 150.000 morti.
Con la follia nazista il mondo conobbe senza dubbio le mostruosità più atroci, e tutt’oggi ci interroghiamo per capire, se mai lo capiremo, fino a quali abissi può arrivare l’uomo. Ma se l’abisso della crudeltà ci spaventa, non meno quello dell’ipocrisia ci lascia sgomenti. Quando nell’ottobre del 46 la Corte Internazionale di Norimberga giudicò i caporioni nazisti colpevoli di crimini contro l’umanità, su quei giudici aleggiavano dei fantasmi: erano le centinaia di migliaia di morti innocenti, che chiedevano una Giustizia che, evidentemente, non è di questo mondo.
Paolo Deotto
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1945n.htm)
martedì 12 febbraio 2008
Come infoibare il ricordo
Ricevo notizie da un amico andato a visitare le foibe in Slovenia. Cerchiamo di darne visibilità.
Il pellegrinaggio dell'Unione degli Istriani alla foiba di Roditti e a Capodistria presso la casa che era stata sede dell'OZNA, ha avuto momenti da guerra fredda, altro che Europa Unita.
Entrati in Slovenia dal confine aperto, a Erpelle (prima di prendere la strada per Roditti) il nostro pullman è stato bloccato dalla Polizia Slovena (informata sicuramente da spie da Trieste) che ci impediva di proseguire. Alla nostra decisione di proseguire lo stesso, ci è stata comminata una multa di 312 Euro. Abbiamo proseguito a nostro rischio raggiungendo Roditti. La zona della foiba è stata volutamente recintata da qualche giorno, per cui ci è stato impedito di raggiungerla. Abbiamo però deposto la corona di alloro in una grotta (vecchia miniera abbandonata) che nel maggio 1945 è stata per qualche giorno la prigione dei finanzieri e carabinieri di Trieste, prima di essere infoibati.
A Capodistria la storia si è ripetuta. Lasciata la porta della Muda abbiamo raggiunto a piedi il piazzale Biagio Giuliani dove davanti a casa Derin (usata dopo il 1945 come sede della Polizia Segreta OZNA) abbiamo deposto la seconda corona.
Al rientro presso il pullman nuova multa di 312 Euro (sempre coma la prima, per manifestazione non autorizzata).
Un silenzioso pellegrinaggio trasformato con arroganza da gente che non è cambiata. Sessanta istriani per lo più anziani nuovamente umiliati. Abbiamo fatto colletta e all'atto del pagamento ho visto il poliziotto abbassare un po' gli occhi penso per la vergogna. Ho capito che eseguiva ordini che riceveva continuamente al telefono. Domani a Trieste ci sarà una conferenza stampa di Massimiliano Lacota (è stato magnifico nel spiegare nella loro lingua il paradosso della situazione). Spesso ho sentito la parola "Europa" per evidenziare la loro indegnità a farne parte. Il telefono del Consolato Generale d'Italia di Capodistra non rispondeva. Una vergogna che non deve passare sotto silenzio.
Un GIORNO DEL RICORDO da ricordare !!
Ricordate anche voi e riflettete.
Il martirio di Norma Cossetto
Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l'Università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa" (Terra rossa per la bauxite). Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa.
Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici tra i quali Eugenio Cossetto, Antonio Posar, Antonio Ferrarin, Ada Riosa ved. Mechis in Sciortino, Maria Valenti, Urnberto Zotter ed altri, tutti di San Domenico, Castellier, Ghedda, Villanova e Parenzo. Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio.
Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, ubriachi e esaltati, quindi gettata nuda nella foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi. Vide la ragazza legata e la udi', distintamente, invocare la mamma e chiedere da bere per pietà
Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite d'arme da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri. Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la prigionia venne violentata da molti. Un'altra deposizione aggiunge i seguenti particolari:
"Cossetto Norma, rinchiusa da partigiani nella ex caserma dei Carabinieri di Antignana, fu fissata ad un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da diciassette aguzzini. Venne poi gettata nella Foiba di Villa Surani."
La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria, per vegliare la salma, composta al centro, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra.
Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici tra i quali Eugenio Cossetto, Antonio Posar, Antonio Ferrarin, Ada Riosa ved. Mechis in Sciortino, Maria Valenti, Urnberto Zotter ed altri, tutti di San Domenico, Castellier, Ghedda, Villanova e Parenzo. Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio.
Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, ubriachi e esaltati, quindi gettata nuda nella foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi. Vide la ragazza legata e la udi', distintamente, invocare la mamma e chiedere da bere per pietà
Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite d'arme da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri. Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la prigionia venne violentata da molti. Un'altra deposizione aggiunge i seguenti particolari:
"Cossetto Norma, rinchiusa da partigiani nella ex caserma dei Carabinieri di Antignana, fu fissata ad un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da diciassette aguzzini. Venne poi gettata nella Foiba di Villa Surani."
La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria, per vegliare la salma, composta al centro, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra.
sabato 9 febbraio 2008
Giorno della memoria
Giuramento di ippocrate e castronerie che sento
Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest' arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e considererò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest'arte se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e nessun altro. Scegliero' il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un' iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l'aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch'io vedrò e ascolterò nell'esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev'essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell' arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.
Avendo letto alcuni commenti in merito agli articoli “madri con la falce” e “rianimare i feti” e avendo notato che si faceva riferimento al giuramento di Ippocrate ho deciso di riportarlo. Vi prego di rileggere con attenzione la parte in corsivo e vi esorto a considerare l’epoca in cui fu scritto il suddetto giuramento.
Non era ancora nata la Chiesa e nemmeno Gesù Cristo ma i greci avevano già compreso l’importanza della difesa della vita e l’importanza che riveste la figura del medico all’interno della società.
Coloro che difendono “la necessità e il diritto” della donna di abortire possono a mio avviso essere considerati dei vigliacchi e trogloditi in quanto vorrebbero imporre la propria idea a un essere non ancora in grado di decidere e di difendersi,che non ha ancora nessuna colpa ma solo la disgrazia di avere una madre che antepone la propria identità a un diritto che, non solamente tutte le moderne costituzioni, ma anche i greci di oltre 2000 anni fa consideravano sacrosanto:IL DIRITTO ALLA VITA.
In questi tempi si accusa tanto la Chiesa di oscurantismo, si accusano i preti e Sua Santità di voler ritornare al medioevo e all’inquisizione e si osannano i filosofi illuministi.
Ma non si riesce a cogliere, a mio parere, la più grande lezione che suddetti filosofi ci hanno lasciato e cioè che ovunque nelle istituzioni,nella società,nelle scuole e nei tribunali ciò che deve primeggiare non è l’identità e volontà individuali ma il diritto. Nel senso più grande del termine.
Negare la vita a un essere umano in qualunque maniera è imporre la propria volontà sul diritto comune. E’ tirannia.
Leonardo Zappalà
Nota Gemelli Neri: cara Wonderley,ogni tanto una bastonata culturale può essere utile ad aumentare l'umiltà e la cultura personale. Oltre che ad aprire nuovi orizzonti. La lotta all'aborto non è una lotta confessionale,ma è figlia dell'antropofilia,della natura,del buonsenso.E' figlia del Diritto. Dell'Uomo.
Un pubblico ringraziamento all'autore spontaneo dell'articolo e un in bocca al lupo per i futuri studi di medicina alla "vittima" di questa berlina mediatica che spero ci scuserà. Serviva un modello.
mercoledì 6 febbraio 2008
Madri con la falce
Ci ritroviamo a commentare l'ennesimo abominio contro natura.
Località Francia. Una donna decide di avere un bambino tramite FIVET. Per due mesi,però. Dopo lo abortisce.
Incredibile. Un bambino che non sarebbe mai nato,viene meccanicamente messo alla luce ed ucciso!La vita data solo per il piacere di toglierla,un'incredibile,sadica storia dei nostri tempi.
Non riesco nemmeno ad immaginare un caso analogo ad una tale scellerata irresponsabilità e ad un tal sfacciato cinismo.
"Per quale motivo io non potrei abortire?" ha detto la novella Medea dalle ovaie marcite ai medici sbigottiti(ma bene inteso,pronti a scavarle l'utero).
I giudici le hanno dato ragione.
Gli assistenti sociali(figure sopravvissute alla loro effettiva utilità) naturalmente pure.
E i medici hanno eseguito.
Poi la signora ha deciso di partorire qualcosa,e quindi ecco che,nonostante quell'aborto, si avviano le pratiche.
I giudici naturalmente le danno ragione.
Gli inutili dispensatori di pacche sulle spalle pure.
E i medici hanno eseguito.
Senza dignità i giudici,privi della principale tra le caratteristiche che dovrebbero avere: il buonsenso.
Senza dignità i consolatori d'ufficio,ormai impegnati ovunque a leggere le proverbiali riveste "Cairo editore" o il corrispettivo d'oltralpe fumando sigarette e bevendo caffè per tenersi svegli nelle tediose e solitarie giornate passate nei reparti ospedalieri dove in ogni momento la vita viene stuprata.
E senza dignità i medici,che hanno dimenticato la missione di non nuocere,diventando degli schiavi del denaro e dell'opportunità.
E ci si indigna quando la Chiesa dice che quanto meno queste leggi vanno modificate e limitate. E' evidentemente meglio così,stuprando la natura.
Quanta libertà per le madri con la falce.
La morte è femmina.
domenica 3 febbraio 2008
Rianimare i feti!
Farà scalpore: 4 università romane hanno firmato un documento che prevede l'obbligo a rianimare il feto nato vivo nel tentativo di abortirlo.
Cerchiamo di essere più chiari: se, durante l'intervento di interruzione volontaria della gravidanza, il feto nasce vivo bisogna rianimarlo "anche se la madre è contraria, perché prevale l'interesse del neonato", chiarisce Domenico Arduini, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia di Tor Vergata, uno dei firmatari del documento "il neonatologo guadagna minuti preziosissimi perché non ha più il dovere di discutere con i genitori prima di decidere, come accadeva prima".
La volontà omicida della madre non ha più importanza. Neanche se il bambino dovesse presentare malattie o malformazioni. Inoltre non vi è nel documento nessun accenno alla settimane del feto.
Certo, sarà evitata ogni forma di accanimento terapeutico, ma verranno fornite al bambino le cure che gli sono dovute in quanto persona umana.
Un diretto in faccia alla follia femminista.
"E' mostruoso. - latra Elettra Daiana (ovviamente di Rifondazione Comunista) - La donna viene considerata un semplice contenitore, privo di volontà e responsabilità. La si considera un qualcosa a disposizione di una volontà superiore. Di fatto, la si annulla. Bisogna uscire dal silenzio e combattere questa volontà di potere maschile che mira a ridurre le donne in condizioni di inferiorità giuridica".
Di mostruosa c'è solo la furiosa ostinazione della signora Daiana nel volere la morte del bambino.
Il nostro parere è che dietro la ridicola accusa di considerare la donna un contenitore c'è l'intenzione di considerare il bambino un oggetto.
Il bambino sarà rianimato.
Se la madre continuerà a non volerlo potrà avvalersi dell'abbandono giuridico ovvero lasciarlo in ospedale, anche in modo del tutto anonimo.
Abbandono giuridico che è la soluzione con cui si può conquistare l'abrogazione (o quantomeno la modifica) della 194.
Femministe, comunisti e radicali promettono guerra.
Siamo pronti.
Cerchiamo di essere più chiari: se, durante l'intervento di interruzione volontaria della gravidanza, il feto nasce vivo bisogna rianimarlo "anche se la madre è contraria, perché prevale l'interesse del neonato", chiarisce Domenico Arduini, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia di Tor Vergata, uno dei firmatari del documento "il neonatologo guadagna minuti preziosissimi perché non ha più il dovere di discutere con i genitori prima di decidere, come accadeva prima".
La volontà omicida della madre non ha più importanza. Neanche se il bambino dovesse presentare malattie o malformazioni. Inoltre non vi è nel documento nessun accenno alla settimane del feto.
Certo, sarà evitata ogni forma di accanimento terapeutico, ma verranno fornite al bambino le cure che gli sono dovute in quanto persona umana.
Un diretto in faccia alla follia femminista.
"E' mostruoso. - latra Elettra Daiana (ovviamente di Rifondazione Comunista) - La donna viene considerata un semplice contenitore, privo di volontà e responsabilità. La si considera un qualcosa a disposizione di una volontà superiore. Di fatto, la si annulla. Bisogna uscire dal silenzio e combattere questa volontà di potere maschile che mira a ridurre le donne in condizioni di inferiorità giuridica".
Di mostruosa c'è solo la furiosa ostinazione della signora Daiana nel volere la morte del bambino.
Il nostro parere è che dietro la ridicola accusa di considerare la donna un contenitore c'è l'intenzione di considerare il bambino un oggetto.
Il bambino sarà rianimato.
Se la madre continuerà a non volerlo potrà avvalersi dell'abbandono giuridico ovvero lasciarlo in ospedale, anche in modo del tutto anonimo.
Abbandono giuridico che è la soluzione con cui si può conquistare l'abrogazione (o quantomeno la modifica) della 194.
Femministe, comunisti e radicali promettono guerra.
Siamo pronti.
sabato 2 febbraio 2008
Evento web 10 Febbraio
In occasione della quarta Giornata Nazionale in Memoria delle Vittime delle Foibe, RBN in collaborazione con Novopress Italia organizza la manifestazione virtuale “10 FEBBRAIO: IO NON SCORDO”. Al fine di sensibilizzare nei confronti di un argomento tanto spinoso quanto de facto sommerso, domenica 10 febbraio alle ore 11 centinaia di siti internet, blog e forum corredati di Tricolore listato a lutto osserveranno un’ora di silenzio nel rispetto dei connazionali caduti per mano degli assassini titini. In un Paese che con fare incerto e talora stizzito muove faticosamente i primi passi verso la verità storica, e che in ogni sede, dalle istituzioni politiche alla scuola, tende ad insabbiare con troppa disinvoltura i lati oscuri del proprio passato mediante la censura culturale e la minimizzazione dei tragici eventi che a partire dall’8 settembre 1943 colpirono la comunità italiana di Istria, Dalmazia e Friuli-Venezia Giulia l’affermazione “IO NON SCORDO” è un atto rivoluzionario che intende contribuire a riscattare le migliaia di Italiani infoibati dalla furia slavo-comunista.
È scandaloso che a più di mezzo secolo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ricercare e affermare la verità storica sia da più parti considerato alla stregua di un reato d’opinione; che storici di rilievo siano osteggiati nelle loro ricerche, talora pubblicamente dileggiati, ora con le armi della critica interessata ora dal consueto manipolo di utili idioti ideologizzati; che i più giovani ignorino, per deficit didattico, la portata devastante dei fatti in oggetto; che non si possa a tutt’oggi parlare apertamente di pulizia etnica ai danni della popolazione italiana del Nord-Est, che ha dovuto subire rastrellamenti, deportazioni, torture e esodi di massa con esiti spesso indegni, com’è il caso del tristemente noto “treno della vergogna”. Agli isterismi di massa preferiamo però lo stile, manifestando il nostro dissenso – che in realtà è un consenso, un sentire comune, espressione della consapevolezza di appartenere alla comunità nazionale – in maniera composta, disciplinata e silenziosa, sul web come nelle piazze, invocando il Lutto nazionale per gli oltre 10.000 morti accertati e per quelli ancora da accertare. E’ richiesto il massimo grado di partecipazione.
È scandaloso che a più di mezzo secolo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ricercare e affermare la verità storica sia da più parti considerato alla stregua di un reato d’opinione; che storici di rilievo siano osteggiati nelle loro ricerche, talora pubblicamente dileggiati, ora con le armi della critica interessata ora dal consueto manipolo di utili idioti ideologizzati; che i più giovani ignorino, per deficit didattico, la portata devastante dei fatti in oggetto; che non si possa a tutt’oggi parlare apertamente di pulizia etnica ai danni della popolazione italiana del Nord-Est, che ha dovuto subire rastrellamenti, deportazioni, torture e esodi di massa con esiti spesso indegni, com’è il caso del tristemente noto “treno della vergogna”. Agli isterismi di massa preferiamo però lo stile, manifestando il nostro dissenso – che in realtà è un consenso, un sentire comune, espressione della consapevolezza di appartenere alla comunità nazionale – in maniera composta, disciplinata e silenziosa, sul web come nelle piazze, invocando il Lutto nazionale per gli oltre 10.000 morti accertati e per quelli ancora da accertare. E’ richiesto il massimo grado di partecipazione.
venerdì 1 febbraio 2008
Grande preghiera per l'Italia
Accogliamo nelle pagine del blog l'iniziativa del dott. Claudio Prandini cercando di darne massima visibilità possibile
***
A te, o Maria, ci affidiamo.
Proteggi e benedici il nostro paese.
***
Questo vuole essere un unmile appello a tutta la Chies per una Domenica dedicata ad una preghiera per l'avvenire sociale, civile e politico del nostro Paese.
Il nostro Paese ha bisogno di una grande e corale preghiera della sua Chiesa per ritrovare la pace e la concordia che sembra ormai un lontano ricordo.
Il nostro popolo è stato benedetto da Dio in molti modi nella sua millenaria storia, ed Egli certo non abbandonerà i suoi figli ora proprio nel momento del gran bisogno.
Grandi sfide interne ed esterne ci attendono, come ad esempio la grave crisi economica in atto, ma che senza l'intercessione potente della Chiesa di Dio tutto rischia di cadere nel caos e nella distruzione.
***
DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI (12,5-11)
Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. E l'angelo a lui: «Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece. L'angelo disse: «Avvolgiti il mantello, e seguimi!».
Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione. Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l'angelo si dileguò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei»
***
Chiediamo pertanto alla CEI, ai vescovi ed alle loro diocesi di indire una Domenica di preghiera e di digiuno, magari durante la quaresima, per il nostro Paese, affinchè il Signore allontani le nubi oscure che si addensano sempre più e faccia di nuovo splendere il sole della concordia e della pace nella nostra bella e amata Italia.
Dott. Claudio Prandini
-----------
PREGHIERA PER L'ITALIA
O Dio, nostro Padre,
ti lodiamo e ringraziamo.
Tu che ami ogni uomo
e guidi tutti i popoli
accompagna i passi della nostra nazione,
spesso difficili ma colmi di speranza.
Fa’ che vediamo
i segni della tua presenza
e sperimentiamo la forza del tuo amore,
che non viene mai meno.
Gloria a te, o Padre,
che operi tutto in tutti.
Signore Gesù, Figlio di Dio e Salvatore del mondo,
fatto uomo nel seno della Vergine Maria,
ti confessiamo la nostra fede.
il tuo Vangelo
sia luce e vigore per le nostre scelte
personali e sociali.
La tua legge d’amore
conduca la nostra comunità civile
a giustizia e solidarietà,
a riconciliazione e pace.
Gloria a te, o Figlio,
che per amore ti sei fatto nostro servo.
Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio,
con fiducia ti invochiamo.
Tu che sei maestro interiore
svela a noi i pensieri e le vie di Dio.
Donaci di guardare le vicende umane
con occhi puri e penetranti,
di conservare l’eredità di santità e civiltà
propria del nostro popolo,
di convertirci nella mente e nel cuore
per rinnovare la nostra società.
Gloria a te, o Spirito Santo
che semini i tuoi doni nei nostri cuori.
Gloria a te, o Santa Trinità,
che vivi e regi nei secoli dei secoli.
Amen
Giovanni Paolo II
***
A te, o Maria, ci affidiamo.
Proteggi e benedici il nostro paese.
***
Questo vuole essere un unmile appello a tutta la Chies per una Domenica dedicata ad una preghiera per l'avvenire sociale, civile e politico del nostro Paese.
Il nostro Paese ha bisogno di una grande e corale preghiera della sua Chiesa per ritrovare la pace e la concordia che sembra ormai un lontano ricordo.
Il nostro popolo è stato benedetto da Dio in molti modi nella sua millenaria storia, ed Egli certo non abbandonerà i suoi figli ora proprio nel momento del gran bisogno.
Grandi sfide interne ed esterne ci attendono, come ad esempio la grave crisi economica in atto, ma che senza l'intercessione potente della Chiesa di Dio tutto rischia di cadere nel caos e nella distruzione.
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DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI (12,5-11)
Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. E l'angelo a lui: «Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece. L'angelo disse: «Avvolgiti il mantello, e seguimi!».
Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione. Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l'angelo si dileguò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei»
***
Chiediamo pertanto alla CEI, ai vescovi ed alle loro diocesi di indire una Domenica di preghiera e di digiuno, magari durante la quaresima, per il nostro Paese, affinchè il Signore allontani le nubi oscure che si addensano sempre più e faccia di nuovo splendere il sole della concordia e della pace nella nostra bella e amata Italia.
Dott. Claudio Prandini
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PREGHIERA PER L'ITALIA
O Dio, nostro Padre,
ti lodiamo e ringraziamo.
Tu che ami ogni uomo
e guidi tutti i popoli
accompagna i passi della nostra nazione,
spesso difficili ma colmi di speranza.
Fa’ che vediamo
i segni della tua presenza
e sperimentiamo la forza del tuo amore,
che non viene mai meno.
Gloria a te, o Padre,
che operi tutto in tutti.
Signore Gesù, Figlio di Dio e Salvatore del mondo,
fatto uomo nel seno della Vergine Maria,
ti confessiamo la nostra fede.
il tuo Vangelo
sia luce e vigore per le nostre scelte
personali e sociali.
La tua legge d’amore
conduca la nostra comunità civile
a giustizia e solidarietà,
a riconciliazione e pace.
Gloria a te, o Figlio,
che per amore ti sei fatto nostro servo.
Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio,
con fiducia ti invochiamo.
Tu che sei maestro interiore
svela a noi i pensieri e le vie di Dio.
Donaci di guardare le vicende umane
con occhi puri e penetranti,
di conservare l’eredità di santità e civiltà
propria del nostro popolo,
di convertirci nella mente e nel cuore
per rinnovare la nostra società.
Gloria a te, o Spirito Santo
che semini i tuoi doni nei nostri cuori.
Gloria a te, o Santa Trinità,
che vivi e regi nei secoli dei secoli.
Amen
Giovanni Paolo II
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