Due letti, uno accanto all'altro, nel reparto di ostetricia di un ospedale di Roma. Uno vuoto, nell'altro una ragazza legge le ultime pagine di un buon libro. Arrivano i medici che cominciano a leggere la cartella clinica di questa ragazza: vi è un rischio elevato di un aborto spontaneo.
La ragazza ne viene messa al corrente e si scusa in un buon italiano con accento portoghese per le lacrime che non riusciva a frenare.
Il giro visite va avanti.
Sul letto vuoto, solo una scritta: "IVG", il modo elegante e poco traumatico per definire l'aborto volontario.
"Interruzione volontaria della gravidanza" rende tutto più ovattato e indolore.
Silenzio. Nessuna parola dai camici bianchi, si tira avanti al prossimo paziente.
Ironia della sorte, nella stessa stanza una ragazza desidera la nascita del figlio e l'altra la morte.
Tristemente a raggiungere il suo scopo sarà solo quest'ultima.
Non voglio annoiare i lettori con lunghi discorsi di bioetica.
Io accuso lo stato che non informa le donne della possibilità di partorire e andar via senza riconoscere il figlio e senza lasciare traccia di se.
Accuso i medici e gli scienziati che sanno benissimo che la vita scatta al momento della fecondazione, ma prostituiscono i loro studi al dio denaro.
Accuso i radicali che vogliono mettere l'aborto allo stesso livello della contraccezione.
Ci avviciniamo al Natale e non posso che riflettere sulla sacralità della vita umana. Da cattolico, il 25 Dicembre metterò Gesù Bambino nel mio presepe. E la mente andrà a quella legge infame, responsabile di un olocausto dalle proporzioni impensabili, che insauguina impunemente milioni di culle.
Si alzerà una preghiera
venerdì 21 dicembre 2007
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